L!NCREDIBLE: i super-poteri del lino per un packaging sostenibile

La spesa di stamattina: zucchine, asparagi, patate, insalata, aglio, banane, succhi di frutta, patatine, pane, cracker, tonno, salsa di pomodoro, acciughe in vasetto, brioche per la colazione, detersivo per lavatrice, detersivo per pavimenti. Gran parte di ciò che abbiamo preso finirà nei nostri stomaci, qualche avanzo probabilmente andrà nell’umido e quasi tutto il resto sarà suddiviso nei vari cestini: indifferenziata, carta, plastica, vetro e metalli. Laddove il buon senso non basta, e non è la confezione stessa a darti le istruzioni su dove buttare cosa, qui a Bologna — come in parte dell’Emilia-Romagna, delle Marche, del Veneto e del Friuli — c’è un’app, chiamata il Rifiutologo, che ti dice cosa fare: basta scansionare il codice a barre, se c’è, oppure cercare la descrizione del prodotto.
Della mia spesa di oggi, tolta “la ciccia”, rimarrà dunque soltanto il packaging: nell’umido i sacchetti biodegradabili di zucchine, asparagi, insalata e banane; nella carta il tetrapack dei succhi, il sacchetto del pane e il tubo delle patatine; nel vetro e metalli la bottiglia di salsa, il vasetto delle acciughe e le scatolette di tonno; nella plastica i flaconi dei detersivi, la confezione delle brioche e quella dei cracker, i tappini dei succhi, la retina dell’aglio e quella delle patate.

Differenziare, ovviamente, è assai meglio che non farlo. Ma non è la panacea per curare un pianeta che abbiamo ormai portato sull’orlo del collasso, e forse già oltre quel baratro. La plastica, ad esempio, che ha responsabilità enormi nell’inquinamento dei mari — e non solo —, andrebbe abbandonata quanto più possibile. La assai discussa normativa europea sullo stop all’uso di plastica monouso non basta di certo. C’è da ripensare intere filiere — anticipando il legislatore, invece di tentare di mettersi al passo con le norme — e questo, perlomeno per quanto riguarda il packaging, va fatto di concerto tra industria, ricerca scientifica e design. Sì, design, perché il packaging è innanzitutto un “problema di design”, come già suggeriva il grande Bruno Munari nel suo Da cosa nasce cosa, dove elencava, appunto, «in quali settori si trovano problemi di design». Tra di essi — oltre ad arredamento e abbigliamento, giochi e giardini, segnaletica ed editoria — proprio la categoria degli imballaggi, secondo lui, presentava tante stimolanti opportunità progettuali.

Torniamo alla mia spesa e prendiamo le patate e l’aglio. Anzi, prendiamo la retina di plastica in cui sono confezionati. Quella retina — che quando va bene intraprende poi il lungo viaggio nella catena del riciclo, che ha a sua volta un impatto ambientale tutt’altro che trascurabile, e che quando va male arriva in discarica, in un inceneritore o direttamente nei mari — non si potrebbe sostituire con qualche altro materiale?
Si può, in effetti, e quel materiale è il lino. A pensarci è stato il Linificio e Canapificio Nazionale di Villa d’Almè (Bg), storica azienda italiana che ha alle spalle quasi 150 anni di attività. Insieme a Kukù Packaging International — impresa specializzata in packaging flessibile di base nella celebre “packaging valley” emiliana — e con la consulenza dell’associazione ambientalista Marevivo, ha sviluppato un prodotto che sta già iniziando a sostituire le reti di plastiche che avvolgono le mie patate e i vostri scalogni, le teste d’aglio e le vongole della pescheria, ma anche i palloni e i giochi da spiaggia. E che presto potrebbero prendere il posto delle reti per l’allevamento in acqua dolce, oppure di quei fili che spesso troviamo nei nastri che chiudono le scatole dentro alle quali arriva ciò che acquistiamo online.

Sul mercato esistono già alternative (ad esempio il cotone o le cosiddette “plastiche biodegradabili”), ma il lino ha molti vantaggi: è una fibra naturale, richiede poca acqua per crescere, un ettaro di piante assorbe quasi 4 tonnellate di CO2 all’anno, prepara i terreni per altre colture, necessita di pochissimi prodotti chimici sia per la coltura che per la filatura, non produce scarti e inoltre si può usare coi medesimi macchinari adoperati per il confezionamento con materiali plastici.
Giocando sul nome della materia prima, questa soluzione è stata ribattezzata L!NCREDIBLE®, ed è già in uso in alcuni paesi, ad esempio la Germania e la Francia, che hanno leggi che vietano l’uso di plastica nel confezionamento dell’ortofrutta.
Le possibilità, tuttavia, sono potenzialmente infinite, e qui sta alle designer e ai designer trovare e progettare nuove applicazioni.

Nelle immagini, la nuova campagna L!NCREDIBLE®, a cura dell’agenzia GEORGE – Kill your Dragons.

Direzione creativa: Riccardo Ciunci e Valentina Cantù
Direzione strategica: Federico Demartini
Direzione artistica: Valentina Cantù e Davide Fiori
Fotografo: Massimo Bianchi
Post-produzione: Massimo Bianchi e Marco Oliosi

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