Times New Yoman: un’esplorazione del linguaggio dei meme attraverso i poster

L’etologo e biologo Richard Dawkins coniò, nel 1976, la parola meme, descrivendone il concetto come l’equivalente culturale del gene: laddove la vita si replica e si evolve biologicamente attraverso il gene, così il fatto culturale tenta di sopravvivere per mezzo del meme.
La diffusione di internet e delle modalità di comunicazione sul web, hanno poi trasformato il meme in qualcosa di ancora più complesso. Come scrive Valentina Tanni nel suo fondamentale saggio Memestetica, «L’elemento caratterizzante del meme, che accomuna la definizione originaria con la nuova versione digitale, è la contagiosità, e cioè la capacità di attecchire e dilagare viaggiando da mente a mente, da persona a persona, da computer a computer, talvolta a una velocità impressionante». Tanni però sottolinea una differenza fondamentale tra il meme pre-web e il meme attuale: «l’intervento umano. In effetti, nonostante la retorica sulla viralità dei contenuti, appare sempre più chiaro come la loro creazione e circolazione non avvenga tramite un semplice contagio (anche se le metafora resta suggestiva e, in un certo senso efficace), ma grazie alla volontà creativa e comunitaria degli utenti».

Sebbene per molte e per molti il meme sia ancora sinonimo di “Quelle immagini con una scritta sopra e una sotto” o di “cose che fanno ridere”, in realtà dietro all’intricato, multi-stratificato e talvolta incomprensibile ecosistema memetico (leggevo giusto qualche giorno fa, su twitter, chi lamentava il fatto che per capire un meme, oggi, serva aver letto tot romanzi e saggi, aver visto serie tv ben precise, aver giocato a specifici videogames, ecc. ecc.) possono muoversi idee filosofiche, progetti artistici (il libro di Tanni ne presenta tantissimi) e interessi economici e politici tremendamente seri: coi Rage Comics e coi Pepe the Frog si è consolidata la cosiddetta Alt-Right statunitense, che ha poi disegnato quella linea temporale allucinante in cui viviamo ancora oggi, dall’elezione di Trump a QAnon e da lì all’assalto al Campidoglio dell’anno scorso; mentre oggi, con le bombe che cadono, i palazzi che esplodono e gli arti di gente innocente che saltano per aria, la guerra si combatte anche coi meme.

«I meme vanno presi sul serio. È importante interessarsi al loro aspetto socioantropologico, poiché le innocue “immagini buffe” che fanno ridere possono anche diventare parte di strutture complesse e spesso poco felici: dalla propaganda politica dell’Alt Right americana che ha contribuito all’ascesa di Trump, alla comunicazione cringe delle agenzie creative che li usano come strumenti di lead generation» sostengono Tommaso Boccheni, Gabriele Boggio e Carlo Candido Todesco, fondatori di NewTab, studio di visual design nato “con un tempismo surreale” — come ci tengono a precisare i tre — all’inizio del lockdown.

(courtesy: Times New Yoman)
(courtesy: Times New Yoman)
(courtesy: Times New Yoman)

Cresciuti in mezzo ai meme, Boccheni, Boggio e Candido Todesco fin dal 2019 hanno cominciato a sperimentare il linguaggio memetico, lanciando un account Instagram che poi è diventato di fatto un “side project” del loro studio.
Si chiama Times New Yoman e, come spiega il trio, «indaga le prassi tradizionali di questo tipo di comunicazione trasformandole in un prodotto visivo preciso, creando meme che sembrino dei poster — o poster che sembrino dei meme — e sfruttandoli per ironizzare su tematiche attuali, spaziando dalla politica al design humor».
Di settimana in settimana Times New Yoman va a scegliere e ad affrontare un tema, che viene interpretato attraverso tre poster. Tra gli ultimi post, ad esempio, c’è un trittico a tema metal.

Dal digitale, l’iniziativa si è affacciata anche al mondo fisico, con una mostra, Allora Praticamentw (una mostra sui meme), organizzata lo scorso settembre a Torino nell’ambito dei Graphic Days. Quell’esposizione, ampliata, è ora tornata nel regno della rete con un sito web lanciato proprio in questi giorni, timesnewyoman.com, che raccoglie ben 150 dei poster prodotti finora e che si può navigare col mouse o con la tastiera, come dentro a un videogame.
«Al contrario del feed di Instagram, dove i poster vengono esposti in ordine cronologico», avvertono Candido Todesco, Boggio e Boccheni, «ogni esperienza all’interno della mostra è unica in quanto l’ambientazione viene generata randomicamente ad ogni sessione».
L’idea di un’esperienza sempre differente è tanto semplice quanto efficace: sulle prime può disorientare, ma dopo un po’ che si gira per le sale virtuali si comincia ad apprezzare questo perdersi in modo totale — assolutamente in sintonia con lo spirito del tempo: senza passato e futuro ma in un eterno presente — tra i numerosi frammenti culturali sparsi tra i manifesti.

(courtesy: Times New Yoman)
(courtesy: Times New Yoman)
(courtesy: Times New Yoman)
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