Ci sono libri che, quando arrivano nelle mani giuste, si espandono ben oltre la dimensione della pagina, impiantandosi come semi nel terreno fertile della mente e germinando in nuove forme, nuovi metodi, nuove idee.
Uno di essi è Analog Algorithm, del designer tedesco Christoph Grünberger. Uscito nel 2019, più che un libro è una traduzione su carta di una lunga serie di esperimenti sulla creazione di pattern, logo e caratteri tipografici attraverso procedure che si basano sulle griglie grafiche. Salutato da molte riviste, professioniste e professionisti del mondo della progettazione grafica come un’opera differente da qualsiasi altra, il volume di Grünberger ha avuto un grande impatto anche su un designer e art director italiano, Matteo Bertin, che da quei semi ha fatto fiorire una serie di sperimentazioni diventate anch’esse, a sua volta, un libro.
Tutto è iniziato l’anno scorso, quando Bertin, che vive e lavora a Piove di Sacco, in provincia di Padova, chiuso nel suo studio durante la pandemia ha deciso di mettersi alla prova con un progetto che potesse stimolare il suo desiderio di fare ricerca. Proprio in quel periodo aveva appena finito di leggere Analog Algorithm, ed è da lì che è germogliata l’idea degli Image Based Types, cioè caratteri tipografici sviluppati a partire da foto, disegni, mappe e illustrazioni che vengono poi semplificate il più possibile e sintetizzate in griglie, sulle quali costruire infine i segni che vanno a comporre i glifi.
«Dopo questo “salto semantico”» spiega il designer, «il DNA dell’immagine di partenza continua a risuonare in ogni lettera da essa derivata, così come in ogni parola composta da queste lettere. Lo spazio, quindi, che riecheggia nei nuovi alfabeti».
Bertin ha trasformato questo progetto nel suo personalissimo 100 days challenge, che consiste nello scegliere una sfida e portarla avanti, appunto, per 100 giorni, ogni giorno.
«Questa iniziativa aveva molti vantaggi» racconta: «era un’attività da fare ogni giorno, un processo iterativo; potevo giocare sia in ambiente analogico che digitale; era un’attività che usciva dalla mia comfort zone (amo la tipografia ma non sono un type designer); poteva includere altri esperimenti (ad esempio poster, motion design…). Gli obiettivi principali erano: testare un processo iterativo; portare avanti una ricerca personale, libera dal lavoro quotidiano; focalizzarmi su processo più che sul risultato; e divertirmi!».
Nonostante non fossero il fine primario, i risultati, tuttavia, sono arrivati lo stesso. Come ho già accennato, sono stati raccolti in un libro, pubblicato da 100 FOR 10, casa editrice e soprattutto progetto artistico ideato e curato dall’agenzia creativa Melville Brand Design di Monaco di Baviera, che nei suoi volumi dà libero spazio alle idee e alle creazioni di designer, artiste e artisti di tutto il mondo, provenienti da diverse discipline.
Intitolato proprio Image Based Types, il libro — 118ª uscita della collana — si compone di oltre 100 pagine, piene di caratteri derivati da tralicci dell’alta tensione, grate, sintetizzatori, immagini satellitari delle griglie urbane, una mappa di Venezia, opere di Kandinskij, perfino posizioni yoga.
«Potrebbe sembrare che il risultato finale sia oggettivo, che ad ogni immagine corrisponda un’unica griglia e, di conseguenza, un unico alfabeto» avverte Bertin, «ma non è così. Sebbene il processo sia codificato, è la soggettività, in questo caso la mia, a determinare il risultato finale: dalla scelta degli elementi dell’immagine su cui tracciare la griglia, alla definizione dei glifi, che andranno a comporre, in modo coerente, il nuovo alfabeto. Ciascuno di noi può far nascere una griglia da un’immagine a sé cara, così come creare i propri #imagebasedtypes».