Dal progetto editoriale Volume una nuova edizione limitata del libro dedicato alla vita e all’opera di uno dei più grandi autori di copertine di dischi degli anni ’70 e ’80
Il prossimo 30 luglio Colin Fulcher avrebbe compiuto ottant’anni. Il suo nome dirà poco o nulla alla maggior parte delle persone, anche a coloro che masticano un po’ di storia della progettazione grafica. Neppure il suo pseudonimo — Barney Bubbles, col quale cominciò a farsi chiamare nel 1967 e che poi, nel ’78, sarebbe diventato il suo nome legale all’anagrafe — richiamerà granché alla mente di chicchessia. Ma basterà guardare nella propria collezione di dischi, o fare un salto in qualche negozio che vende vinili usati, per trovare la sua impronta su alcune delle più belle e originali copertine di album britannici degli anni ’70 e ’80.
Quella del singolo Your Generation del gruppo punk Generation X, nello stile suprematista russo di Lissitzky? Sua. Quella iconica con Elvis Costello in posa da Buddy Holly su fondo a scacchi per il suo primo album My Aim is True? Sua. Quella coloratissima di Music For Pleasure dei Damned che nel 1977 già anticipava parte della grafica anni ’80 e sembrava un preludio all’estetica del gruppo Memphis1? Sua pure quella.
E poi Hit Me With Your Rhythm Stick di Ian Dury & The Blockheads, del 1978, che quasi quarant’anni dopo sembra aver “partorito” il Rufolo di Fabio Tonetto, oppure, sempre per Ian Dury & The Blockheads, l’idea di stampare le grafiche di copertina su diverse carte da parati così da avere diverse edizioni del disco Do It Yourself (che è del 1979 e ha un titolo perfettamente in linea con l’intuizione di Bubbles di usare qualcosa di già pronto e “casalingo”).
E questa è solo un piccolissima lista di quanto di rilevante riuscì a realizzare questo atipico, riservato e bizzarro artista che gli anni ’80 si sono portati via, sia fisicamente (si è suicidato nel 1983, a soli 41 anni, vittima di un disturbo bipolare e di problemi finanziari) sia idealmente, già pressoché dimenticato agli inizi del decennio, poi regolarmente — e ingiustamente — snobbato da pubblicazioni, antologie, mostre e programmi scolastici sulla grafica.
Nato nel Middlesex durante i bombardamenti tedeschi del ’42, Fulcher crebbe in una famiglia benestante. Il padre era ingegnere di precisione e lavorava per l’industria automobilistica e per quella delle fotocamere. La madre era casalinga. Magrissimo e piccolino (ebbe un blocco della crescita dovuto alla pertosse), fin da ragazzino si dimostrò molto creativo e intelligente.
Studiò al Twickenham College of Technology, sviluppando un grande interesse per il Bauhaus e l’architettura modernista e imparando a destreggiarsi con grande abilità in diversi campi, sia teorici che pratici: dalla fotografia al design, dal packaging alla progettazione di allestimenti e vetrine. Grande amante delle musica rock’n’roll e della letteratura beat, fu al college che Fulcher iniziò a disegnare poster e volantini per band nate all’interno della scuola.
Quando uscì dall’istituto trovò lavoro prima in una casa editrice e in seguito per un designer tipografico, entrando poi nelle grazie del grande designer Terence Conran, con cui lavorò dal 1965 al 1968, al contempo cercando un suo ruolo nel panorama musicale, all’epoca in pieno fermento. Dopo un concerto dei Pink Floyd, affascinato dalla psichedelia, Fulcher decise di mettere in piedi uno spettacolo d’avanguardia basato su luci psichedeliche: comprò quattro proiettori e, usando inchiostri e olio, creò degli speciali effetti “a bolle”: da quel momento in poi iniziò, appunto, a farsi chiamare “Bubbles”.
Sempre più attivo in ambito underground (disegnò, tra le altre cose, dei poster per la seminale rivista OZ) e ormai quasi completamente inserito nella cultura hippy, nel ’68 Bubbles aprì col suo caro amico David Willis lo studio O.K. Designs, dividendosi tra progetti “pazzi” e collaborazioni con aziende e studi “mainstream”.
Nello stesso anno, affittò un palazzo di tre piani in Portobello Road con l’intento di convertirlo in uno studio e in una sorta di “Factory”, poi partì per un viaggio negli Stati Uniti, raggiungendo la California, con l’intento di immergersi in pieno nel nucleo caldo e acido della controcultura dell’epoca.
Nella West Coast Bubbles conobbe Janis Joplin, creò spettacoli luminosi per i Pink Floyd, frequentò la scena creativa di San Francisco e si fece di LSD con Jerry Garcia dei Grateful Dead, andando avanti per mesi assumendo allucinogeni praticamente ogni giorno. Al suo ritorno a Londra era cambiato, così come cambiò radicalmente il suo lavoro, influenzato dalla cultura hippy e dal simbolismo, per il quale aveva un debole fin da ragazzino, innamorato com’era dell’Antico Egitto.
Tornato nel suo studio al piano terra del palazzo in Portobello Road, Bubbles lanciò l’agenzia Teenburger Designs, che diventò un luogo centrale nel panorama alternativo della Londra del periodo.
Nel ’69 arrivarono le prime commissioni per copertine di dischi, e fu a quel punto che l’artista e designer cominciò a “scrivere” la sua storia, diventando uno dei più grandi designer in ambito musicale di sempre, raggiungendo l’apice della fama negli anni ’70, coi suoi lavori per l’etichetta Stiff Records — tra i quali quelli dei già citati Damned, Ian Dury ed Elvis Costello, oltre ai Devo e Nick Lowe.
Oltre alle copertine e ai poster, Bubbles trovò il tempo anche per riprogettare interamente la conosciutissima rivista musicale New Musical Express (disegnando anche il nuovo logo NME con lettering effetto stencil), per dipingere, per darsi — come già accennato — al design di mobili, e per dirigere video musicali. Porta la sua firma uno dei migliori videoclip del decennio, quello realizzato per il celebre singolo Ghost Town degli Specials, che mostra la band girare dentro una Vauxall per una Londra deserta. Era il 1981 e due anni dopo Bubbles avrebbe messo fine alla sua esistenza, lasciandosi dietro una lunghissima ed eclettica serie di opere, poche foto di lui, e un’unica intervista, rilasciata alla rivista The Face.
Già poco dopo la morte venne praticamente dimenticato.
«Un libro su [l’etichetta discografica] Stiff menzionava il designer solo una volta in 100 pagine e, poiché i musicisti con cui era associato caddero in disgrazia negli anni ’80, così fu anche per Bubbles. Invisibile alla comunità grafica mainstream, Bubbles è stato oggetto di occasionali ritorni di interesse, come un pezzo del 1989 sulla “tipografia punk” nella rivista Baseline di Letraset e un apprezzamento del 1990 da parte del designer australiano di copertine Philip Brophy in Stuffing, una pubblicazione di Melbourne Stuffing. La fiamma, in effetti, è stata tenuta in vita dai fan della musica» spiega il giornalista e scrittore Paul Gorman nelle note finali del suo libro Reasons to be cheerful, monografia dedicata proprio a Barney Bubbles, alla sua vita e alle sue opere.
Originariamente uscito nel 2008, il volume è stato pubblicato in una nuova edizione nel 2010, in occasione della mostra Process: The Working Practices of Barney Bubbles presso la galleria londinese Chelsea Space.
Gorman — che ha all’attivo numerose pubblicazioni sulla cultura alternativa britannica — si è avvicinato alla figura di Bubbles grazie alla sua passione per la band degli Hawkwind, per cui il designer realizzò svariate copertine e molti poster.
Da anni è uno dei più attivi curatori dell’opera del designer e artista britannico ed oggi a capo della Barney Bubbles Estate, che conserva e preserva la sua eredità.
Ora, in occasione degli ottant’anni — che Bubbles, come scrivevo nell’apertura di questo pezzo, avrebbe compiuto il 30 luglio del 2022 —, sta per uscire una terza edizione, rivista e ampliata, del libro di Gorman.
Si intitolerà A Box of Bubbles e verrà prodotta da Volume, bel progetto editoriale del quale ho già scritto diverse volte qui su Frizzifrizzi, dedicato a campagne di raccolta fondi per finanziare curatissimi volumi su arte e design.
A Box of Bubbles si può già pre-acquistare (sono solo 500 le copie disponibili) e consiste in un libro di 240 pagine che racconta l’intera vita di Colin Fulcher, mostrando bozzetti, disegni, dipinti e copertine. Il volume è contenuto in un box rigido che racchiude pure una serigrafia e un porfolio con alcune riproduzioni, tra cui un set di “Tarocchi Galattici” disegnati dall’artista.