Dispute gastronomiche: il mondo è bello perché è litigioso

Se c’è una cosa che ho imparato viaggiando è che, ovunque vai, c’è una storia di campanilismo secolare che fa ancora litigare la gente. E nel momento in cui ti siedi al tavolo di un ristorante e guardi il menù, hai la quasi certezza che assisterai a una disputa gastronomica.
Nei miei anni da pellegrino dei festival e dei workshop (ma anche dei ristoranti) ho classificato almeno tre grandi famiglie di dispute.


① Le dispute sul nome

Crescione o Cassone? (o Cascione?)

La piadina romagnola sembra risalire già al 1300 e il crescione ne sarebbe una variante chiusa, farcita di crescione appunto, un’erba spontanea che cresceva nei fossi. 
Nel tempo le farciture si sono moltiplicate, ma il crescione è rimasto tale, salvo che, a seconda della località, si chiama in modo diverso. Si dice crescione a Cesena e Cervia. A Rimini e in riviera invece diventa cassone, ma esiste anche la variante cascione (che poi, secondo me, è solo cassone con la escie romagnola).
Ovviamente, ovunque siate, sosterranno che la loro è l’unica versione corretta.
La prossima volta cha sarete a tavola con amici romagnoli, fate l’esperimento: buttate lì la questione del nome, e poi rimanete a guardare mentre si scannano.

Arancino o Arancina?

L’arancino siciliano ha una storia molto simile. Nella Sicilia orientale infatti, si chiama arancino, in quella occidentale invece, arancina. Io devo dire che per almeno trent’anni l’ho chiamato arancino (mio papà è del catanese) senza sospettare minimamente che qualcuno, all’angolo opposto della Sicilia, lo chiamasse diversamente.
Quando vai a Palermo però, puntualmente la questione viene fuori ed è necessario schierarsi.
La disputa rimane irrisolta. Persino l’Accademia della Crusca ha tentato di venirne a capo, inutilmente. Il supplì di riso con la carne che a Palermo trovate più sferico (come un’arancia appunto) e a Catania a punta, sembra avere un precedente arabo, risalente all’occupazione dell’isola (dal IX al XI secolo) ma la ricetta non corrisponde. Della ricetta del moderno arancino, o arancina, non si trova traccia fino al XIX secolo, cosa che renderebbe il supplì di riso siciliano piuttosto recente. 
Il termine dialettale arancinu, che si trova in un dizionario di metà Ottocento, rimanda al maschile arancino, ma trattandosi di una sorta di arancia, sarebbe forse più sensato chiamarlo arancina?
Ce n’è di che discutere per i prossimi 100 anni.

Pain au chocolat o Chocolatine

I francesi non sono esenti dalle dispute gastronomiche. Il pain au chocolat è una brioche farcita di cioccolato e grondante burro. Anche questa delizia della pasticceria però, porta con sé un’annosa questione, relativa al nome. 
Nel sud-Ovest della Francia (e talvolta in Québec), viene chiamata chocolatine, cosa che, per qualche motivo, irrita la maggioranza dei francesi. Qualche anno fa, stufo dell’oppressione dei sostenitori del pain au chocolat, il Sud è insorto, chiedendo agli storici di fare chiarezza. Ne venne fuori che l’origine del pain au chocolat (letteralmente pane al cioccolato) sarebbe un dolce austriaco (come tutta la pasticceria da forno francese del resto, da cui la definizione viennoiseries): si tratta del Schokoladencroissant, successivamente contratto e francesizzato in chocolatine. L’Académie Française nel 2018 ha chiesto e ottenuto dal Parlamento che nei prossimi dizionari il dolce sia indicato unicamente come chocolatine.


Illustrazione di Giovanni Gastaldi

② Le dispute sugli ingredienti

Noci o pinoli? (e gli anacardi?)

Avendo trascorso molti anni a Genova posso dirvi che la discussione sulle noci o pinoli nel pesto è una di quelle che ho sentito fare più spesso. 
Tutti sanno che nel pesto vanno i pinoli, ma i veri esperti sostengono che ci vadano anche le noci. La questione potrebbe essere già risolta ma invece no, è solo l’inizio.
Infatti, posto che siano ammessi entrambi: in che proporzione?
I grossi marchi commerciali hanno risolto facendo il pesto con gli anacardi (se volete perdere degli amici genovesi, provate a farlo anche voi), ma non pensiate che sia finita.
Infatti, se anche avessimo risolto la questione noci/pinoli, nel pesto ci va anche il basilico. 
Ma quale? 
Senz’altro, non quello alto cinquanta centimetri che coltivate sul terrazzo per farci il sugo. 
Il basilico deve essere alto non più di un paio di centimetri. Sulla grandezza precisa delle foglie, si può discutere lungamente.
Risolto il basilico, rimane il formaggio. Perché d’accordo, ci va il Parmigiano Reggiano, ma la ricetta originale dice che ci va anche una parte di pecorino.
Di nuovo, la proporzione tra i due può farvi discutere all’infinito.

Insomma, il pesto più che una ricetta è una formula alchemica. In Liguria ognuno ha la sua ed è convinto di essere l’unico detentore della ricetta autentica. Di norma il pesto si fa con l’aglio, c’è chi ne mette di più, chi di meno e chi lo preferisce senza, e poi c’è chi, al momento di condire aggiunge (sempre secondo tradizione) patate lesse e fagiolini. 
Se siete dei veri esperti, condirete la pasta in due fasi. Un primo cucchiaio di pesto infatti si mette sul fondo del recipiente e si scioglie con un pochino di acqua di cottura. Dopo aver aggiunto la pasta e mescolato una prima volta, si aggiunge la seconda parte. 
Volendo, c’è chi ci aggiunge ancora una spolverata di Parmigiano Reggiano: soprattutto se il pesto è venuto un po’ liquido, il formaggio eviterà di farlo schizzare dappertutto mentre mangiate.
Un capitolo a parte sarebbe quello della pasta. Le trenette: sì. Gli spaghetti: no. Trofie: sì. Strozzapreti: ovviamente no. Gnocchi di patate? Sì. Lasagne? Sì. 
Penne rigate? Sì.
Penne lisce? No.
La cosa più divertente è che ho scoperto che nel primissimo pesto non c’erano né basilico, né pinoli. Si trattava infatti di una salsa a base d’aglio, noci e olio d’oliva.
Il basilico e i pinoli sono arrivati soltanto verso la metà del 1800. Curiosamente il pesto ligure somiglia al pistou, una salsa provenzale a base di aglio e basilico che compare in Francia nello stesso periodo e che potrebbe inaugurare una nuova, divertente, disputa.

Pancetta o guanciale?

Se a Genova si discute ancora di noci e pinoli, a Roma, la questione si sposta su pancetta o guanciale nella pasta alla carbonara. Chi cercherà le origini storiche di questo piatto però, rimarrà deluso. Sebbene esistano diverse ipotesi sulla sua origine, la più accreditata è quella che vede nascere questa ricetta nella Roma occupata dagli americani del 1944, quindi in tempi relativamente recenti.
Approfittando delle derrate alimentari regalate dai militari alleati (quindi: bacon, panna e uova in polvere) i romani avrebbero improvvisato un condimento per la pasta, diventato rapidamente tradizione. Io confesso che conosco pochissimo la cucina romana e fino a qualche anno fa ignoravo l’esistenza di questa ricetta. L’ho scoperta in Francia, come una delle ricette italiane di pasta più diffuse, insieme agli spaghetti à la bolognaise.
Se quella della bolognaise però, è una ricetta inventata dai francesi di sana pianta, la carbonara alla francese è una reinterpretazione, molto diversa dall’originale, che, neanche a dirlo, ha generato l’ennesima disputa.
Si tratta di una disputa unilaterale, tutta italiana. Gli italiani infatti si offendono per come i francesi vilipendono la nostra santissima ricetta, con ingredienti inadeguati. Non entrerò nel merito tentando di difendere gli amici francesi (che quando cucinano la pasta purtroppo sono indifendibili) però posso solo dire che a loro come la fanno piace molto. In ogni caso, se la loro pasta alla carbonara vi fa inorridire, dovreste provare la loro pizza alla carbonara.


③ Le dispute sull’invenzione

Milanese e Wiener Schnitzel (e il tonkatsu?)

Io adoro le dispute sulle invenzioni (e non soltanto gastronomiche) perché perlopiù hanno scarse possibilità di risolversi e quindi possono, potenzialmente, durare per sempre.
Non è il caso della disputa tra la milanese e la Wiener Schnitzel che, proprio scrivendo questo pezzo, scopro aver trovato una risoluzione definitiva.
La cotoletta alla viennese è una fetta di vitello (o maiale) impanata e fritta nello strutto. A lungo la cotoletta alla milanese è stata considerata una sua variante, nata a Milano durante l’occupazione austriaca. Ovviamente, i milanesi hanno sempre sostenuto essere stati gli austriaci a esportarla (sarebbe stato addirittura Radetzky, che aveva sposato un’italiana). 
Lo storico Romano Bracalini avrebbe trovato un documento datato 1148 che già cita una lombata di vitello impanata. Citato anche da Pietro Verri in Storia di Milano, il documento ora è esposto nella Basilica di Sant’Ambrogio a Milano, come a dire: carta canta.
E il tonkatsu? Fa la sua prima comparsa in Giappone, importato dall’Europa, nel 1890. 
In principio si trattava di una cotoletta di vitello (katsuretsu), ma poi si diffuse anche una variante di maiale che negli anni Trenta assume il nome attuale di tonkatsu.

È nato prima lo Champagne o lo Spumante?

Anche questa disputa, in teoria, sarebbe risolta: l’invenzione dello champagne, o meglio del metodo per produrlo, è comunemente attribuita all’abate Pierre Perignon che, leggenda vuole, avrebbe scoperto casualmente la rifermentazione del vino in bottiglia, intorno al intorno 1670.
Nel 1662 però, l’inglese Christopher Merret aveva già ottenuto vini frizzanti, aggiungendovi zucchero e melassa. Il mercante, per altro, tentò inutilmente di smerciare i suoi vini in Francia, dove però non ebbero successo, perché i francesi preferivano i vini fermi.
Attenzione: se parliamo di primati, quarant’anni prima, nel 1622, un medico di Fabriano, Francesco Sacchi, avrebbe descritto per primo una ricetta per ottenere il vino con le bollicine. 
E quindi, di chi è l’invenzione?

Mi sembra la storia di moltissime invenzioni e scoperte, che hanno un precedente, o anche più di uno, ma poi un inventore (o scopritore) al quale viene riconosciuto storicamente il merito, perché il primo a metterla a frutto. Qui abbiamo tre personaggi: uno che ha il merito di aver scoperto il metodo, uno che ha quello di averlo reso commerciale, uno che ha il merito di averlo diffuso in Francia, creando un vino unico. 
E lo spumante? Storicamente, la sua creazione viene attribuita ai fratelli Gancia e al conte Augusto di Vistarino, nel 1865. 
Ma c’è ancora spazio per litigare. Ogni anno, puntualmente verso fine dicembre, torna la disputa puerile e campanilista tra champagne o spumante. Qual è il migliore? Sia francesi che italiani, interpellano i massimi esperti per rispondere alla domanda. E ogni anno, curiosamente, dopo lunghe meditazioni, gli italiani assegnano il primato allo spumante e i francesi allo champagne.


⊛ Bonus Track: falsi storici

Ma davvero gli antichi romani mangiavano la pinsa?

Qui a dire la verità non c’è nessuna disputa se non quella tra la storia e la credulità popolare.
La pretesa pizza dell’Antica Roma infatti, il cui nome viene dal latino pinsere 1, ovvero, allungare-schiacciare, non è mai esistita se non nella fantasia di Corrado di Marco che ne ha depositato il brevetto nel 2001, inaugurando un franchise di grande successo.
La storia fasulla della pinsa è forse la prova definitiva che in generale, per mangiare e godere della buona tavola, non ci basta il cibo, gli amici o un bel locale, ma ci serve anche una storia e, qualche volta, anche la Storia con la S maiuscola.

L'illustrazione di questo articolo è di Giovanni Gastaldi

L’illustrazione di questo articolo è di Giovanni Gastaldi

Giovane illustratore piemontese, nella vita voleva fare l’ingegnere o il chitarrista jazz. Un giorno un amico ha scoperto che sapeva disegnare, e gli ha indicato un’altra strada.
Si è laureato nel 2017 allo IED di Torino in Illustrazione e nel 2021 ha frequentato il Mimaster, Milano.
Il suo sito è giovannigastaldi.com.

editorialista
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  1. Bellissimo articolo e illustrazione con le, ops beccata,dicevo con arancin* sul ring!
    Come te, ma al contrario, essendo i miei di Palermo. Mai sospettato nulla, finché tutti i miei conoscenti lettori di Camilleri hanno cominciato e richiedere “arancini”…

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