Reneepoptosis: un viaggio dentro di sé in forma di animazione

In uno degli antichi testi buddhisti, il Saṃyutta Nikāya, si racconta la storia di un certo Rohitassa, uomo dagli incredibili poteri spirituali che gli permettevano di camminare per aria e superare così fiumi e mari, montagne e pianure. Ben consapevole che il mondo è sofferenza, Rohitassa andò a cercare la fine del cosmo, dove non si nasce, non si invecchia e non si muore. Camminò per cent’anni, senza fermarsi mai, nemmeno per mangiare e dormire, ma alla fine del cosmo non ci arrivò e dovette arrendersi alla morte. Quando incontrò il Buddha, gli chiese se fosse possibile raggiungere la fine del cosmo, lì dove non si nasce, non si invecchia e non si muore. L’Illuminato gli rispose che viaggiando sarebbe stato impossibile raggiungerla, ma che senza raggiungerla non si può pensare di uscire dalla sofferenza e dal dolore.
Quindi? Quindi, spiegò il Buddha a Rohitassa, non serve a nulla andare lontano, perché è nel proprio stesso corpo, dotato di coscienza e percezioni, che sta il cosmo, l’origine del cosmo, la fine del cosmo e il viaggio per arrivare alla fine del cosmo.

Quella della ricerca dentro di sé — e non altrove — è alla base di tutte le dottrine mistiche, da oriente a occidente.
«Conosci te stesso» stava inciso sul fronte del tempio di Apollo a Delfi, mentre il grande mistico cristiano Meister Eckhart tra il ‘200 e il ‘300 scrisse che «Se l’uomo si mette in rapporto o prende qualcosa al di fuori di sé stesso, non va bene. Non si deve considerare Dio come esterno a noi stessi, ma come nostro proprio essere […] Molta gente semplice si immagina Dio lassù e noi quaggiù, ma non è così: Dio e io siamo una cosa sola».
Il monaco benedettino Henri Le Saux, figura chiave della mistica del ‘900 e anello di congiunzione tra cristianesimo e induismo, sosteneva che «Il primo compito dell’uomo è rientrare all’interno e incontrare sé stesso. Chi non ha incontrato sé stesso, come potrà incontrare Dio? Non si incontra il Sé indipendentemente da Dio. Non si incontra Dio indipendentemente da Sé».

A seguire — quasi alla lettera — il consiglio di Le Saux è stata la regista di animazione sinoamericana Renee Zhan. Con una laurea ad Harvard e un master conseguito presso la britannica National Film and Television School, l’artista ha vinto due anni fa il premio della giuria del prestigioso Sundance Film Festival per il miglior corto d’animazione con un’opera intitolata Reneepoptosis (un gioco di parole tra il proprio nome e il termine greco poptosis, che indica il cadere delle foglie dagli alberi e dei petali dai fiori, ma anche, in biologia, il fenomeno della morte programmata delle cellule), che racconta il viaggio di tre Renee — una giovane, una adulta e una anziana — all’interno della stessa Renee, alla ricerca della divinità Renee.

Come riporta Rob Munday su Short of the Week, il corto è stato realizzato nel 2018 in seguito a un viaggio di un anno in Giappone, esperienza che per Zhan fu sinonimo di estrema solitudine.
«Volevo realizzare una meditazione spensierata sulla sottile linea tra l’odio di sé e l’adorazione di sé» ha spiegato a Munday l’artista, che lavorando a Reneepoptosis si è imbarcata in una sorta di auto-terapia.

A livello visivo, il filmato — uscito da pochi giorni in versione integrale su Vimeo — ammalia e affascina, pieno com’è di corpi morbidi, acquosi, mollicci, carnosi, e di evidenti rimandi all’arte orientale.
Gli stessi paesaggi sono in effetti paesaggi-corpo, ed è tutto uno “sguisciare”, suggere, gocciolare, borbogliare (gran lavoro del sound designer Jacob Kinch), tra le voci che, spesso in rima (a chi non riesce ad afferrare tutti i testi consiglio di lasciarsi andare al flusso delle immagini e del ritmo) fanno immergere spettatori e spettatrici nel viaggio dentro a Renee delle tre Renee, che dovranno resistere all’impulso di mangiare un pezzetto di quel corpo-divinità e dunque cadere nell’auto-cannibalismo.

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