Sono qui: intervista a Fernando Cobelo in occasione della seconda edizione del suo libro

Era un giorno di settembre del 2010 quando un ragazzo venezuelano appena ventiduenne si imbarcò su un volo di sola andata per l’Italia. La sua meta era Torino, e dieci anni dopo, mettendo nero su bianco emozioni e motivazioni di quel lungo viaggio, avrebbe scritto queste parole:

«non mi dilungo nello spiegare quanto e perché è difficile la decisione di andare via dal posto che ti ha visto nascere e che ti ha visto crescere. Fidatevi di me: è emozionalmente difficile, fisicamente stancante, burocraticamente complicato ed economicamente molto pesante. E sì, lo facciamo comunque: prendiamo le nostre cose, facciamo una selezione quasi impossibile degli oggetti più importanti per noi e li mettiamo in valigia insieme alle nostre emozioni. Salutiamo la mamma, il papà, il fratello, la sorella, la nonna, gli amici, gli zii, il cane. Piangiamo per l’inevitabile distacco fisico, ci giriamo e attraversiamo le porte che ci indirizzano agli imbarchi. E sì, lo facciamo comunque, perché siamo alla ricerca di una piccola cosa che il nostro Paese non è riuscito a darci: un futuro migliore».

Fernando Cobelo nel suo studio
(foto: Lorenzo Morandi (YourStory) | courtesy: Fernando Cobelo)

Quel ragazzo era — è — Fernando Cobelo, uno dei migliori illustratori che abbiamo oggi in Italia. Un professionista che ha firmato tavole apparse sulle più importanti riviste nazionali e internazionali, dal New York Times al Washington Post, dal Corriere della Sera a Vanity Fair; che ha disegnato le copertine dei dizionari Zanichelli sui quali almeno un paio di generazioni studieranno altre lingue o impareranno meglio l’italiano; che ha prestato il suo talento ad aziende come Google, Disney, Montblanc, Swatch, Lavazza, Samsung e Barilla; che ha uno scaffale pieno di premi, assegnatigli da realtà come la Society of Illustrators di New York, American Illustration, l’Associazione Autori di Immagini, Communication Arts, l’Association of Illustrators of the United Kingdom; che ha insegnato e tenuto corsi e conferenze in tutto il mondo, dallo IED allo IAAD, dalla LUISS al Circolo del Design, dal Messico alla Russia, dalla Cina all’India alla Turchia.

Dieci anni dopo il suo arrivo a Torino, che oggi è la sua casa, Cobelo ha pensato di guardarsi indietro e di raccontare piccole/grandi storie come la sua, quelle di persone che, esattamente come è capitato a lui, sono partite da un paese lontano e in Italia hanno trovato accoglienza e opportunità, piccoli gesti gentili che, in un modo o nell’altro, hanno segnato in positivo la loro vita.
E ha deciso di raccoglierle in un libro che — come scrive l’autore nell’introduzione — vuole essere «un piccolo omaggio alla terra alla quale ho dato tutto e in cambio ho ricevuto il triplo».

Fernando Cobelo nel suo studio
(foto: Lorenzo Morandi (YourStory) | courtesy: Fernando Cobelo)

Intitolato Sono qui, il volume è dunque un atto d’amore — per un paese, per le persone, per i minuscoli gesti, magari inconsapevoli, che cambiano la vita — ed è anche il frutto di un lavoro fatto con amore da Cobelo e da Print Club Torino, laboratorio creativo e spazio culturale dove il libro è nato e ha preso vita.
Uscito per la prima volta a marzo 2021 e stampato in 100 copie, è andato subito esaurito.
Fu proprio in occasione della prima edizione che chiamai Fernando per l’intervista che ora state leggendo, decidendo però di pubblicarla più avanti, ora, in occasione della pubblicazione della seconda edizione.

La differenza tra le due tirature è che la prima ha l’arancione come colore dominante (Fernando ne parla nell’intervista) mentre la seconda è in un «fucsia sparato», per citare ancora una volta l’autore.
Entrambe hanno la copertina serigrafata a due colori su cartone spessorato da 1,75mm, montato su carta Fedrigoni Woodstock Malva 140g/m2, e interni stampati in risograph a due colori su carta Fedrigoni Arena Natural Bulk 140g/m2.
È un piccolo libriccino da collezione, prodotto in 150 copie firmate e numerate. Si acquista qui, anche in versione “deluxe” con stampa risograph a due colori.


Fernando Cobelo “Sono qui”, seconda edizione, 2021
(courtesy: Fernando Cobelo)

Tu sei arrivato qui in Italia dal Venezuela, quindi il primo a dire “sono qui” — per citare il titolo del libro — sei tu stesso.
Quand’è scattata la molla che ha poi fatto nascere questo progetto?

La molla è scattata nel 2019, quando ho festeggiato i miei nove anni in Italia e ho pensato che per il decennale mi sarebbe piaciuto fare qualcosa di bello. Però non avevo idea di cosa. Poi, poco prima del decimo anniversario, mi è venuta in mente questa pazzia: di non accontentarmi di un’illustrazione commemorativa ma di provare a fare un libro.
Il 9 settembre, che è il giorno in cui sono arrivato in Italia, ho lanciato una call sui social, in cui chiedevo a straniere e stranieri che oggi vivono in Italia una loro storia, anche molto breve e semplice, legata a un gesto di gentilezza ricevuto in questo paese.
Fin da subito hanno iniziato a mandarmi storie. È stato bello vedere come la gente, pur non conoscendomi, si apriva e raccontava. C’erano episodi leggeri, e altri meno, ma comunque vicende personali legate a quei piccoli gesti che un po’ ti cambiano la vita anche se magari subito non te ne accorgi.

Bastava fare la domanda giusta, quindi. Una domanda che, solitamente, chi scrive di queste tematiche non fa.

È proprio così. Ho pensato a quello che è successo a me: io sono arrivato qui e non ho ricevuto altro che opportunità e amore, amicizia e professionalità. E con questo libro ho provato a dare indietro ciò che ho ricevuto.
Sono convinto che il bene si può fare ogni giorno, senza per forza dover donare 5000 Euro a un’associazione (ma se puoi permettertelo va benissimo che tu lo faccia, intendiamoci!).

Fernando Cobelo “Sono qui”, seconda edizione, 2021
Storia di Duclair, 30 anni, da Douala, Camerun, a Torino
(courtesy: Fernando Cobelo)

Ci sono casi, però, in cui ciò che si riceve non sono solo bei gesti.

Il progetto non ha mai avuto l’intenzione di ignorare il razzismo e la xenofobia, che pure esistono in Italia. Non possiamo chiudere gli occhi di fronte a queste cose e di fronte ad alcuni leader terribili che promuovono l’idea dello straniero come criminale, che viene qui per rubare il lavoro.
Sono qui non vuole assolutamente far finta che cose del genere non esistano, ma ho voluto dare spazio ai lati positivi, quelli di cui non si parla mai. L’Italia è un paese inclusivo e accogliente. Certo, c’è una parte che non sarà molto d’accordo col concetto di accoglienza, ma spero si tratti di una minoranza.

Il problema è che, se davvero si tratta di una minoranza, è comunque molto rumorosa, tanto da sembrare predominante nel dibattito pubblico.

Per questo bisogna dar voce anche all’altra parte. Alla faccia bella della medaglia.

Fernando Cobelo “Sono qui”, seconda edizione, 2021
Storia di Gabriela, 28 anni, da Barquisimeto, Venezuela, a Torino
(courtesy: Fernando Cobelo)
Fernando Cobelo “Sono qui”, seconda edizione, 2021
Storia di Gabriela, 28 anni, da Barquisimeto, Venezuela, a Torino
(courtesy: Fernando Cobelo)

Ultimamente ho visto un video in cui si parla anche di questo, di come l’intelligenza sia importante, ma in qualche modo sopravvalutata, e che la cosa veramente importante, sebbene sia solitamente considerata semplice e naïf, è la gentilezza. Una persona gentile darà sempre al mondo qualcosa in più rispetto a una persona intelligente, perché l’intelligenza può anche essere applicata male, mentre la gentilezza non ha nulla di negativo.

Non so, a volte la gentilezza viene considerata una debolezza. Ma secondo me è una di quelle “soft skill” che tra l’altro sono super richieste anche nelle aziende. Non è che parliamo solo di fatine e farfalline, ma anche di cose importanti per noi come comunità e come professionisti. Più empatici siamo con chi ci sta intorno, migliori persone diventiamo. Quindi spero che il libro aiuti a promuovere questo concetto.

Che idea ti sei fatto riguardo alle storie che hai ricevuto? Immagino tu non le abbia inserite tutte nel libro.

Ne ho ricevute parecchie e ne ho selezionate dieci. Volevo storie abbastanza leggere, niente di troppo impegnativo (anche se ce ne sono un paio che emotivamente colpiscono forte), ma che facessero passare il concetto che i gesti di gentilezza sono proprio semplici da fare, e che li riceviamo e li facciamo senza rendercene conto.
Volevo poi coprire una bella porzione del mondo, scegliere dieci storie di altrettante persone provenienti da paesi diversi e che vivono oggi in città diverse, dal nord al sud: rappresentare tutto il mondo e tutta l’Italia, anche per dire che l’inclusività non è solo al nord, o solo al sud. Quindi trovi testi che arrivano da Milano e da Reggio Calabria, passando per Pisa e per Bologna.

Fernando Cobelo “Sono qui”, seconda edizione, 2021
Storia di Huifei, 28 anni, da Zhejiang, Cina, a Torino
(courtesy: Fernando Cobelo)

Che tipo di lavoro hai fatto per rappresentarle attraverso le illustrazioni?

È stato come lavorare a un articolo di giornale. Ormai quando leggo qualcosa, la mia mente lo trasforma immediatamente in immagine illustrata.
Alcune sono la rappresentazione letterale del racconto, altre giocano di più sulle metafore visive, che io utilizzo molto nelle mie illustrazioni.
Non è stato difficile perché si trattava di storie molto suggestive. È stato più difficile correggere i testi, infatti ho avuto delle persone che mi hanno aiutato. Perché anche la parte scritta è importante, nel libro.

Parlami della parte relativa alla stampa del libro, che hai realizzato con Print Club Torino.

Loro li conosco da tanti anni, dalla loro nascita come Print Club e forse dalla mia nascita come illustratore. Sono stati i primi a credere nel mio lavoro, cinque o sei anni fa, quando io avevo appena iniziato “a fare disegnini”. Mi hanno sempre supportato molto, mi hanno fatto partecipare ai loro eventi, abbiamo collaborato spesso. Quindi per me è stato molto naturale pensare a loro una volta deciso di fare un libro.
Quando ne ho parlato con Luisella Cresto di Print Club Torino, dopo appena un paio di giorni sono tornato lì e lei aveva già proposte su formati, materiali, tecniche di stampa. In un paio di ore abbiamo deciso tutto: che volevamo dare al volume un certo aspetto “artigianale”, che la copertina sarebbe stata serigrafata, che gli interni sarebbero stati stampati in risograph, tecnica che finora non avevo mai usato.

Fernando Cobelo “Sono qui”, seconda edizione, 2021
Storia di Kevin, 58 anni, da Melbourne, Australia, a Pisa
(courtesy: Fernando Cobelo)

Tra l’altro la stampa risograph si presta benissimo col tuo stile.

Sì, me l’avevano detto, ma non ero molto sicuro. Alla fine, però, sono stato molto soddisfatto. Per quanto uno cerchi di controllare il processo di stampa, la risograph è un po’ ribelle e fa per conto suo, quindi inserisce da sola degli effetti, anche indesiderati, ma che alla fine aggiungono una grande ricchezza a ogni pagina, che risulta differente dalle altre. Poi c’è questo arancione sparatissimo!

Già, perché l’arancione?

Non ha un significato simbolico. La risograph ha una palette di colori puri, che ne creano altri quando si mescolano.
Dalle prove che abbiamo fatto, secondo me l’arancione funzionava meglio, e con il bianco e il nero creava un contrasto incredibile. Quindi l’abbiamo immaginato così fin da subito, anche se pure il fucsia mi attraeva. Se mai farò una ristampa credo andrò su quello. Un bel fucsia sparato.

[E così è stato!]

La prima edizione

Fernando Cobelo “Sono qui”, seconda edizione, 2021
Storia di Pegah, 29 anni, da Teheran, Iran, a Potenza
(courtesy: Fernando Cobelo)

Dato che hai un punto di vista privilegiato, sia come professionista sia come insegnante, come lo vedi lo stato attuale dell’illustrazione italiana?

Secondo me abbiamo tra i migliori professionisti e le migliori professioniste in assoluto. E non lo dico perché sono di parte. È molto stimolante lavorare in un settore in cui gli standard sono altissimi. Questo ti costringe a provare continuamente a superarti.
Detto questo, la pandemia credo che da un lato abbia portato grossi problemi a molte persone che vivono di illustrazione. Molti lavori sono andati persi.
In altri casi, incluso il mio, è stata invece un fattore che ha fatto capire a tante aziende che l’illustrazione è un mezzo di comunicazione così affidabile da poter tranquillamente essere utilizzato anche durante tempi come questi, e infatti tante realtà che prima non lo facevano hanno iniziato a chiamare illustratori e illustratrici.
Durante il primo lockdown fotografi e fotografe non potevano fare quasi nulla, mentre per noi lavorare “nella nostra caverna” era già un’abitudine.

Prima dicevi che facevi “disegnini” e poi hai fatto illustrazione, quand’è che c’è stato il passaggio? C’è davvero consapevolezza di fare solo “disegnini”, quando quella situazione la si vive dal di dentro?

Non lo so, te ne rendi conto se hai un minimo di rispetto per la professione vera e propria. Purtroppo c’è la concezione che chiunque sappia disegnare allora è un illustratore, ma questo è come dire che se io faccio una torta allora sono un pasticciere, e se metto un cerotto sono un infermiere. Non è così.
Ovviamente la professione dell’illustratore racchiude in sé altri aspetti, oltre al disegnare. Bisogna saper progettare, gestire i clienti, trasformare concetti complessi in immagini.
Quando io ho iniziato a disegnare non avevo idea che si sarebbe trasformata in una professione. Sapevo che erano solo disegni, e conoscevo bene la differenza tra ciò che facevo e la professione di illustratore. Ma non sono in grado di indicare il momento preciso in cui il mio approccio è cambiato, quando da hobby ha cominciato a diventare lavoro.

Immagino non sia un taglio netto.

No, probabilmente è stato graduale. Da autodidatta, non avendo mai potuto studiare illustrazione, sono andato avanti facendo errori e poi rendendomi conto di averli fatti.

Fernando Cobelo “Sono qui”, seconda edizione, 2021
Storia di Kelly, 38 anni, da Curitiba, Brasile, a Corato (Ba)
(courtesy: Fernando Cobelo)

C’è qualcuno che consideri maestro o maestra? Che in qualche modo ti ha formato, spinto o dato quella scintilla che ti ha portato a diventare quello che sei diventato?

Tantissimi. Mi ricordo che all’inizio della mia carriera studiavo tantissimo come lavorava Elisa Talentino. Mi piaceva il modo in cui rappresentava l’immaginario femminile, come utilizzava composizioni con un sacco di spazio negativo intorno, creando corpi con la sottrazione di certi elementi, e mi piaceva il modo in cui trasformava certi concetti, molto emozionali, in immagini.
Senza saperlo, lei mi ha insegnato tantissimo quando ero all’inizio della mia carriera. Quelle volte che abbiamo parlato, non glielo ho mai detto.
Da un altro punto di vista anche Olimpia Zagnoli è stata per me un grande esempio. Lei è la più riconosciuta di noi a livello internazionale e io, da illustratore, non ammiro soltanto il modo in cui disegna ma anche quello con cui gestisce la sua carriera a livello imprenditoriale.

Domanda marzulliana: riconosci qualche elemento della tua infanzia come possibile influenza per il modo in cui disegni? Non so, per la composizione, la rappresentazione delle figure, dei luoghi…

Sono convinto che lo stile di un illustratore sia il risultato dell’esperienza e degli interessi. Io sono una persona molto nostalgica. È una parte di me con cui ho imparato a convivere col passare degli anni, forse anche per il fatto di essere andato via di casa, di vedere poco la mia famiglia. Io sono anche questo, e tale nostalgia forse viene trasfigurata, senza che me ne renda pienamente conto, nel mio modo di disegnare, nella carica emozionale che esprime.

Fernando Cobelo “Sono qui”, seconda edizione, 2021
Storia di Yassine, 33 anni, da Rabat, Marocco, a Milano
(courtesy: Fernando Cobelo)

Continuo sul filone marzulliano. Visto che sei di madrelingua spagnola, e che però hai lavorato molto sulle parole, con tutti i progetti fatti con Zanichelli (le etimologie, i dizionari), tu pensi in italiano o in spagnolo? Te le chiedo perché ad esempio a me, quando sono stressato, esce fuori il dialetto. Abbandono del tutto l’italiano per tornare a una dimensione in qualche modo più spontanea, meno faticosa.

Non ci ho mai fatto caso, in effetti, ma mi sa che penso in italiano. Ci sono dei giorni in cui mi sveglio un po’ più sudamericano, altri giorni più italiano, ma secondo me penso e sogno in italiano, che è anche la lingua che parlo di più nella vita quotidiana.
Però, effettivamente, quando mi arrabbio esce lo spagnolo. È la parte istintiva. Il mio fidanzato mi prende in giro perché dice che quando mi infurio sembro il gatto con gli stivali di Shrek.

Fernando Cobelo “Sono qui”, seconda edizione, 2021
Storia di Julieta, 27 anni, da Bogotà, Colombia, a Bologna
(courtesy: Fernando Cobelo)
Fernando Cobelo “Sono qui”, seconda edizione, 2021
(courtesy: Fernando Cobelo)
Un messaggio

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