La nuova identità della cantina I Carpini, opera di Drogheria Studio

Come la racchiudi, in un simbolo, la fine del mondo? E la bruma d’autunno, la rugiada del mattino, la brezza d’estate? Dev’esserselo chiesto Luigi Durante, direttore creativo dell’agenzia milanese Drogheria Studio, quando la sua scrivania ha cominciato a riempirsi di bottiglie di vino dai nomi poetici: Sette zolle, Terre d’ombra, Falò d’autunno, Chiaror sul masso e, appunto, La fine del mondo, Rugiada del mattino, Bruma d’autunno.
Il cliente, la cantina I Carpini, ha chiesto di rifare tutta l’immagine, quella dei vini e quella del marchio. E che vini! Al di là dei nomi — la poesia, si sa, da sempre alberga nel nettare di Bacco e contagia i vignaioli —, quelli prodotti dall’azienda fondata circa vent’anni fa da Paolo Ghislandi sono atipici pure per un contesto assai complesso e articolato come quello del mondo enologico.

Le vigne, arrampicate sui colli di Pozzol Groppo, minuscolo paesino di 300 anime o giù di lì sull’appennino tortonese, sono infatti solo una parte della ricchezza di un terreno che Ghislandi cura seguendo i principi olistici, che considerano cioè un sistema nella sua totalità e non come unione di singole parti. In un’azienda vitivinicola questo si traduce nel rispettare l’ecosistema già presente, nel considerare la fauna e la flora, pure quella “non produttiva”, come parte essenziale del tutto, rispettando da biodiversità.

(foto: Carmen Mitrotta | courtesy: Drogheria Studio)

Con I Carpini, Ghislandi tira fuori dall’articolato sistema di cui si prende cura dei vini biologici e vegani (ogni sostanza di origine animale è esclusa da tutti i processi di produzione e persino dall’imballaggio), prodotti con fermentazioni spontanee e rispettando i tempi necessari, dettati dalla natura stessa. Ce n’è addirittura uno — il già citato La fine del mondo, un barbera riserva — che arriva in bottiglia se e solo se le uve vengono asciugate e rinfrescate dalla tramontana durante la prima luna di ottobre. Se così non è, quell’anno non se fa nulla (immagino già la battuta: «stavolta niente fine del mondo»).

Come raccontare, dunque, tutto questo, con la grafica? Drogheria Studio ha pensato di puntare sulla semplicità cromatica e su linee essenziali, dando però a ciascuna bottiglia una sua identità e unicità attraverso i timbri. Forme geometriche piene di imperfezioni, per suggerire le zolle e la bruma, la brezza e il chiarore, la rugiada e i falò.

(animazione: Gianluca Santoro | courtesy: Drogheria Studio)
(foto: Carmen Mitrotta | courtesy: Drogheria Studio)

Il logo, invece, è stato immaginato come la composizione di due cerchi, che ricordano un bicchiere visto dall’alto e leggermente inclinato, come quando lo si fa delicatamente roteare per permettere al vino di ossigenarsi e sprigionare i suoi profumi.

«I due cerchi comunicano la rotazione e il passaggio del tempo richiesto al vino per raggiungere la sua perfezione» spiegano da Drogheria Studio. «È un logo dinamico, e nell’identità appare in quattro diverse rotazioni, ciascuna per ogni vigna; si presenta nelle sue versioni sulle relative bottiglie, simulando il concetto del passaggio del tempo e delle fasi lunari».

(animazione: Gianluca Santoro | courtesy: Drogheria Studio)
(foto: Carmen Mitrotta | courtesy: Drogheria Studio)
(foto: Carmen Mitrotta | courtesy: Drogheria Studio)
(foto: Carmen Mitrotta | courtesy: Drogheria Studio)
(foto: Carmen Mitrotta | courtesy: Drogheria Studio)
(foto: Carmen Mitrotta | courtesy: Drogheria Studio)
(foto: Carmen Mitrotta | courtesy: Drogheria Studio)
(foto: Carmen Mitrotta | courtesy: Drogheria Studio)
(foto: Carmen Mitrotta | courtesy: Drogheria Studio)
(foto: Carmen Mitrotta | courtesy: Drogheria Studio)
(foto: Carmen Mitrotta | courtesy: Drogheria Studio)
(foto: Carmen Mitrotta | courtesy: Drogheria Studio)
co-fondatore e direttore
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