«Come a Detroit l’industria automobilistica ha lasciato, andandosene, edifici sventrati, finestre in frantumi, voragini stradali e casette unifamiliari bruciate, così nelle città turistiche, quando il vento sarà cambiato e le orde sceglieranno altre destinazioni, le uniche tracce saranno bottiglie rotte, cartacce, lattine e rifiuti come quelli che la risacca deposita sul litorale.»
A scriverlo è il giornalista Marco D’Eramo nel suo saggio Il selfie del mondo: Indagine sull’età del turismo, in un capitolo in cui parla dello “zoning”, la prassi politica, economica e urbanistica che nel XX secolo ha dominato la pianificazione delle città, divise in zone — finanziarie, commerciali, residenziali, industriali, turistiche — che, sempre per citare D’Eramo, «non si intersecano e non si sovrappongono mai».
In quelle città o quartieri in cui si investe su una “monocoltura” — l’industria dell’auto a Detroit, l’alta-finanza che ora sta lasciando la City di Londra per via della Brexit —, la fine si avvicina più rapida che mai.
In alcuni centri la monocultura è il turismo: Venezia e Firenze ne sono due esempi eclatanti a livello mondiale, e l’arrivo e l’esplosione della pandemia ha reso questo fenomeno evidente anche a coloro che, per interesse o ignoranza, finora sono stati meno attenti ai segnali di un urbanicidio che inesorabilmente fa il suo corso.
A fronte di quartieri residenziali, sobborghi, periferie e città-satellite che, pur nel lockdown, hanno conservato un minimo di vita all’aperto, perlomeno per le necessità primarie, i centri storici di alcune tra le città più visitate a livello globale — laddove in periodi “normali” a fatica si riesce a girare per le vie o a trovare negozi, locali e servizi che non siano rivolti ai turisti — erano ridotti a surreali spazi deserti. Come dei banali centri commerciali, senza turisti-clienti i centri storici rimangono dei gusci vuoti. Dei luoghi morti, abitati solo dalla loro bellezza.
Tale bellezza — che è un’arma a doppio taglio, perché nutre l’anima ma al contempo la corrompe, diventando risorsa primaria per lo sfruttamento monocolturale — durante la pandemia ha subito una mutazione ed è diventata una unheimlich schön, una bellezza perturbante.
La pandemia ha tolto il velo e mostrato che dietro agli scenari da cartolina e da depliant, ai panorami instagrammabili e alle “experience” vendute a prezzi salati, c’era il vuoto. Un vuoto quasi soprannaturale, e dunque inquietante, che, spazzando via il brulicare umano, ha riportato i centri storici alla loro dimensione di eternità.

Bellezza, eternità, vuoto: si tratta di sensazioni complesse da “masticare” ed elaborare. Ma sono ben rappresentate in un libro fotografico dedicato proprio a Firenze, intitolato Firenze 2020. Il racconto fotografico del lockdown e prodotto dalla rivista Firenze Urban Lifestyle, che dal 2011 racconta cultura, mode, luoghi, progetti e persone, staccandosi per quanto possibile dal “frame” stereotipato della Firenze-città museo.
In 112 pagine, il volume raccoglie gli scatti di 20 fotografe e fotografi — ciascunǝ presente con un proprio progetto focalizzato su uno dei tanti aspetti interessanti, sia a livello umano che paesaggistico, evidenziati dall’emergenza-virus.
Sono Michele Borzoni (la sua serie si chiama How to social distance), Simone Donati (Firenze durante il lockdown), Matteo Nannelli (In volo), Kristinn Kis (Amici alla finestra), Michele Squillantini (Un’Italia che aiuta), Chao Li (Emptiness), Grooming Photo (Grooming Pandemic), Tomoyuki Aoyama (Firenze Mask Street Style), Marco Castelli (The Forbidden Photographs), Marco Pasquini (La spesa sospesa), Nora Bast (Postcards from Florence), Gaia Carnesi (Il lockdown del lusso), Vincenzo Maccarrone (Intimamente) Manuel Berisso (Black Lives Matter), Jacopo Visani (QuaranTime), Lapo Baraldi (Firenze com’è.), Daniele Tamburini (Through the Mask), Francesco Sani (No tourists, no party), Tommaso Pecchioli (Reciprocità), Gianmarco Rescigno (Fate girare Firenze).
Alcuni di loro sono già molto conosciuti a livello internazionale, altri sono giovani talenti emergenti. Tutti quanti hanno offerto la loro prospettiva, da vicino e da lontano, dall’alto o a livello stradale, sulla situazione.

«Oltre al vuoto delle sue strade, le fotografie selezionate ci parlano dei suoi meravigliosi luoghi come non li avevamo mai visti prima», scrive Jacopo Visani di FUL Magazine. «Delle persone che sembrano vagare a tentoni alla ricerca di un diverso modo di muoversi e relazionarsi, delle tante nuove modalità di fare le solite vecchie cose, del quotidiano nei nostri microcosmi di confinamento, della creatività che si esprime nonostante e al di là della mascherina, delle serrande chiuse e delle vetrine spente di locali e negozi, dell’immobilità del tempo e di un esasperato, ma passeggero e limitato, tumulto. Ma ci dipingono anche una Firenze che si dimostra comunque viva, che manifesta contro il razzismo e che, con i sorrisi che ci immaginiamo sotto alle mascherine, sostiene le persone più in difficoltà».
In vendita online sul sito della rivista, Firenze 2020. Il racconto fotografico del lockdown aiuta a supportare la sanità fiorentina. Acquistando il libro, infatti, si contribuisce a sostenere l’Azienda ospedaliera di Careggi nella cura dei pazienti colpiti da Covid-19.



