B-Switch: una collezione di streetwear ispirata alla Bolognina e realizzata da 35 studenti delle superiori

È dal 1985 che la Bolognina non è più un quartiere. Come succede con le banche e le grandi aziende, è arrivata una fusione a semplificare e concentrare, unendo parte della zona nord-ovest di Bologna in un’unica, grande circoscrizione chiamata Navile.
Celebre anche al di fuori dei confini cittadini per la storica svolta con cui Achille Occhetto trasformò il PCI in PDS, la Bolognina, ormai soltanto un rione, viene ancora percepita, dal di dentro come dal di fuori, e in barba alle scartoffie amministrative, come un’entità a sé. Nel bene e — soprattutto negli ultimi anni — nel male.

Territorio che affonda le radici in una lunga storia di lavoro, resistenza, lotte operaie, antifascismo, immigrazione e fermenti culturali, oggi l’area che sorge dietro la stazione centrale è interessata da grandi trasformazioni e attraversata da complesse tensioni, che per oltre un decennio hanno trovato un naturale presidio (per alcuni) e un ideale capro espiatorio al quale attribuire ogni problema (per altri) nello spazio pubblico autogestito XM24, poi sgomberato nell’agosto del 2019. Al momento, mentre le gru e i martelli pneumatici rimodellano isolato dopo isolato il volto della zona all’insegna di una gentrificazione un po’ sgangherata, sui giornali locali e le bacheche social dei personaggi politici la cornice narrativa predominante è quella del “degrado-immigrazione-sicurezza” (per la destra) e del “decoro-normalizzazione-sicurezza” (per la sinistra gli altri).

(foto: Michele Lapini | courtesy: Baumhaus)

Scendendo in strada, tuttavia, la sensazione è un’altra. La sensazione è che qui, dove abito ormai da quasi 15 anni, pur tra mille problemi la vera forza e la vera identità del luogo stiano proprio nella trasformazione tout court, ma non quella artificiosa imposta dall’alto quanto piuttosto quella spontanea che nasce dal basso, nel campetto di basket di Piazza dell’Unità, oltre le macerie dell’ex-XM24, tra le nuove generazioni che si ritrovano nei parchi masticando uno slang che — per ragioni d’anagrafe — faccio una gran fatica a capire. La trasformazione che s’irradia dal substrato di culture diverse e, quando è necessario, pure dal conflitto.

Un dinamismo multiforme e multicolore che ha ispirato un bel progetto di formazione che proprio in Bolognina si è sviluppato e che al quartiere-non quartiere si è ispirato per creare una collezione di streetwear.
Il progetto, che si chiama Freewear Academy – Design, Moda e Culture Urbane, è nato dall’idea di Baumhaus — cooperativa sociale che si occupa di progettazione e formazione e produce eventi culturali legati alle periferie — e del CIOFS FP/ER, che è un ente di formazione per ragazzi e adulti.
Realizzato in collaborazione con molte altre realtà, cittadine e non, tra imprese, cooperative, enti e scuole, ha coinvolto ragazzi che vivono o frequentano la Bolognina, provenienti dallo stesso CIOFS FP/ER oltre che dall’I.T.C. Rosa Luxemburg, dall’Istituto Professionale Aldrovandi Rubbiani e dall’Istituto Comprensivo 15.

Dopo quasi due anni di lavoro, la Freewear Academy ha creato un vero e proprio marchio, che si chiama B-SwitchB come Bolognina e switch come cambiamento, mutamento — e che a ottobre presenterà una collezione durante un evento che verrà finanziato grazie a una campagna di crowdfunding avviata in questi giorni sulla piattaforma School Raising. Il tutto seguito in prima persona dagli stessi ragazzi, che hanno disegnato e realizzato i capi, progettato il marchio e la comunicazione, con il supporto di alcuni ottimi professionisti.

Per saperne di più ho intervistato Anna Romani, che oltre a essere una delle fondatrici di Baumhaus e project manager della Freewear Academy, è anche una delle socie di Kilowatt, altra bella realtà cittadina coinvolta nell’iniziativa.


(foto: Michele Lapini | courtesy: Baumhaus)

Com’è nata l’idea?

Abbiamo pensato che sarebbe stato interessante, invece di fare il solito ciclo di laboratori che iniziano e finiscono in poche ore, provare a presentare un progetto organico di lunga durata, rispondente agli immaginari delle nuove generazioni.
La moda ci è sembrato un ottimo strumento, se affrontata da un punto di vista che potesse andare oltre al consumismo e al marketing, soprattutto per i ragazzi. Ribaltare la prospettiva e trasformare gli adolescenti da semplici consumatori a ideatori, con l’intenzione di portare anche un messaggio e rappresentare un quartiere.
Abbiamo quindi lanciato ai ragazzi una sfida: come possiamo rappresentare la Bolognina attraverso una linea di moda streetwear?

(courtesy: Baumhaus)

Che tipo di lavoro è stato fatto? Ho visto che la lista dei docenti è molto lunga e interessante.

Abbiamo chiamato veri professionisti, e credo che questo sia uno degli aspetti più significativi del progetto. I ragazzi hanno così avuto modo di prototipare, di lavorare seguendo il cosiddetto design thinking
Abbiamo invitato chi si occupa di moda da una prospettiva non soltanto bianca e occidentale, li abbiamo portati in giro per la Bolognina a fotografare i muri e a fare interviste alla gente.
Luca Lambertini del CIOFS ha parlato loro del contesto storico-politico-sociale del quartiere. Con Elena Guidolin, Mattia Moro, Lara Norscia e Federico Manzone di Checkpoint Charly sono andati in esplorazione creativa della Bolognina e si sono occupati della grafica materiali dei cartacei e del crowdfunding. Il fashion designer Luca Giannola li ha coordinati per la creazione della collezione, che hanno poi confezionato insieme alla sarta e modellista Elisa Nanetti.
Con Azeb Lucà Trombetta hanno fatto comunicazione e storytelling. Enrico Gualandi di Social Factor si è occupato con loro dell’identità del marchio e di Instagram, Paola Paganotto di grafica e serigrafia. Giulia Candeloro e Gaspare Caliri di Kilowatt li hanno introdotti al Business Model Canvas e aiutati a mettere in piedi il piano economico-finanziario.
Con Ksenija Savicevic di Etik Wear hanno progettato il merchandising.
Con il fotografo Michele Lapini hanno realizzato lo shooting e con Matteo “Uzzi” Bombarda di Undervilla Production hanno immaginato il concept e girato il video promo.
Con Federico Fred Fumagalli ed Elena Giuntoli di School Raising hanno imparato a organizzare una campagna di crowdfunding. Davide Cobbe di BAUM festival ha parlato loro di organizzazione di eventi mentre Pietro Floridia e Angela Sciavilla di Cantieri Meticci li supporteranno per la messa in scena della sfilata finale.

A proposito dell’esplorazione del quartiere: cosa è uscito fuori da questa fase? E quali sono i luoghi che hanno colpito di più i ragazzi?

Sicuramente il Mercato Albani e l’ex-XM241.
Ci siamo fermati parecchio a parlare di XM. Alcuni ragazzi del quartiere hanno spiegato agli altri la storia del posto, è stato anche interessante vederlo raccontare tra di loro. È uscita fuori la differenza tra la narrazione che viene fatta di questa zona e la realtà che invece è emersa dalle parole di chi qui ci vive.
Da questa fase esplorativa sono venute molte idee: i colori, l’intenzione di usare quelli caldi — l’arancione, il giallo — e poi il concetto di movimento, quello di cambiamento, di interculturalità.
I ragazzi hanno preso ispirazione dalla diversità, per pensare a dei capi dinamici, ai quali ad esempi si possono staccare degli elementi, come le maniche o i pantaloni, che diventano qualcos’altro.

Hanno sempre lavorato tutti assieme oppure li avete divisi in gruppi?

Erano divisi in tre gruppi, ciascuno dei quali ha presentato il proprio concept di linea. Da lì, con l’aiuto degli esperti, sono arrivati a un’idea unica.
L’intenzione era quella di creare un clima collaborativo, non competitivo, e alla fine trovare una sintesi che rendesse felici tutti. Ci siamo riusciti.
Dopo il brainstorming iniziale e l’ideazione della linea, si sono di nuovo formati tre gruppi, che hanno lavorato rispettivamente al fashion design, alla comunicazione e alla sostenibilità economica.

(foto: Michele Lapini | courtesy: Baumhaus)

Parlami della collezione. Si tratterà di capi unici oppure sarà messa in vendita al pubblico.

La collezione che verrà presentata a ottobre la stanno confezionando i ragazzi. Sarà composta da 14 capi genderless, in taglia unica. Il concetto è quello dell’inclusività. L’idea è che sia la tua identità a fare l’abito e non viceversa.
La sfilata sarà più che altro un test, per capire se è possibile portarla avanti e metterla davvero in produzione. Oppure, se abbiamo delle richieste solo per alcuni capi, possiamo pensare di produrre soltanto quelli per non sprecare.
Abbiamo quindi davanti diverse strade.
Parallelamente a questo, per il lancio della campagna di crowdfunding alcuni ragazzi hanno progettato insieme a Ksenija di Etik Wear una piccola capsule collection composta da una t-shirt, un cappellino e una bandana, che è poi quella che vedi nelle foto.
È ispirata a due dei colori della linea ed è stata pensata come “ricompensa” per chi partecipa alla campagna di raccolta fondi.

(foto: Michele Lapini | courtesy: Baumhaus)

Tra le ricompense vedo anche una “Felpa DIY”. Di che si tratta?

Una ragazza, durante il lockdown e senza che noi glielo chiedessimo, ha preso tutti i suoi vecchi jeans e con quelli ha creato una felpa/giacca oversize.
Da qui l’idea di offrire la medesima cosa a chi finanza il progetto con almeno 250 Euro, che potrà portarci i propri vestiti usati. Questi, in un’ottica di riuso ed economia circolare, diventeranno una felpa o una giacca personalizzate.

Come verranno utilizzati i soldi raccolti?

La campagna di crowdfunding servirà a finanziare diverse cose: pagare una parte delle spese dell’evento finale e riuscire a stampare un piccolo portfolio delle esperienze che poi i ragazzi possano usare quando faranno domanda per l’università o in occasione di un colloquio di lavoro.
Tra l’altro molti di loro, dopo questa esperienza, vorrebbero continuare a studiare moda. Sono stati loro stessi a chiederci di avere qualcosa di tangibile per dimostrare quello che hanno fatto.
Infine ci piacerebbe pure donare alla biblioteca di quartiere, Casa di Khaoula, dei libri sulle culture urbane e sullo streetwear.

(foto: Michele Lapini | courtesy: Baumhaus)

Anche della strategia di comunicazione si occupano i ragazzi?

Sì, l’account Instagram lo gestiscono principalmente loro. Scrivono anche tutte le didascalie dei post. Noi gli diamo una mano, soprattutto ora che iniziano la scuola.
Anche al video hanno lavorato loro, con l’aiuto di Undervilla.

Questo progetto verrà portato avanti anche con altre scuole?

Il nostro sogno è di farlo continuare.
Crediamo che questo modello formativo di collaborazione tra le scuole e il territorio sia vincente e che la moda sia un ottimo strumento per fare qualcosa di buono e di bello.
Vorremo farlo diventare un modello di impresa sociale in cui il valore di quello che viene riprodotto viene redistribuito tra chi partecipa.

Mi vuoi riassumere quali saranno le prossime tappe?

Intanto, come già detto, è iniziata la campagna di crowdfunding. E invitiamo tutti a partecipare.
È anche stata lanciata una call, in collaborazione con Bologna Stickers, per la realizzazione di poster che verranno affissi al muro del Locomotiv Club, dove il 17 ottobre si terrà l’evento finale con la sfilata.
La deadline per realizzare un poster è fissata al 30 settembre.

(foto: Michele Lapini | courtesy: Baumhaus)
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