Cemento e neve, e un orizzonte senza fine fatto di taiga, tundra, alcol e disperazione: così ho sempre immaginato la Siberia — uno stereotipo, ovviamente, ma a guardare le foto raccolte nel libro Concrete Siberia, sembra che ci sia davvero molto da grattare sulla superficie prima di rivelare l’inaspettato (ma il chioschetto di gelati — variazione sul tema dell’«andare a vendere gelati al polo nord» — è già un buon inizio, e non so come mi rimanda a uno dei miei racconti preferiti di Carver, Che ci sarà mai in Alaska?).
Tra fabbriche, città costituite dai tipici mikrorajón (i mini-distretti residenziali con palazzoni, servizi e parchi pubblici), monumenti che sembrano congelati — letteralmente — nel tempo, strade semi-deserte e un’atmosfera generale che pare uscire da un videogioco ucronico in cui il regime sovietico non è mai davvero caduto ma una guerra nucleare ha reso completamente inabitabili le terre al di sotto del 60° parallelo: questo il suggestivo panorama che si mostra tra le pagine del volume prodotto dallo studio polacco Zupagrafika.

Concrete Siberia è solo l’ultimo tassello di un’articolata indagine sulle architetture moderniste, razionaliste e brutaliste eurasiatiche portata avanti da Zupagrafika in questi ultimi anni, con un’attenzione particolare nei confronti dell’Est Europa e di ciò che rimane dell’ex-Urss.
Il libro presenta oltre 100 foto, scattate dal fotografo russo Alexander Veryovkin dentro e attorno a sei tra le principali città siberiane: Novosibirsk, Omsk, Krasnoyarsk, Norilsk, Irkutsk e Yakutsk, ciascuna protagonista di un capitolo che parla del luogo e dei suoi edifici.








