Che cosa vediamo quando leggiamo? Ce lo spiega Peter Mendelsund

Da circa 10 anni, cioè da quando la mia prima figlia era molto piccola, leggo a voce alta quasi ogni sera. Favole, favolette, albi illustrati, e poi Rodari, Dahl, Astrid Lindgren, Kipling, Tolkien, alcuni dei libri che mi spediscono per Frizzifrizzi. Da quando le figlie sono diventate due, le letture si sono spesso ripetute — de Il signore degli anelli, La fabbrica di cioccolato, Il grande ascensore di critallo, Pippi Calzelunghe ed Emil, ad esempio, abbiamo già fatto il bis.

Proprio leggendo a voce alta, in favore di un piccolo pubblico, e soprattutto durante le riletture, quindi nel caso di storie che conosco già, ho iniziato a notare alcuni aspetti interessanti, soffermandomi sull’atto della lettura.
Ho fatto caso, ad esempio, all’interpretazione che do alle voci dei personaggi, che, sebbene sempre dilettantesca, va via via affinandosi leggendo e rileggendo. E poi la differente percezione del “mondo” interno al libro da parte delle mie due ascoltatrici. Differente non solo per via dell’età ma anche perché la più grande, già a suo agio col testo, nota elementi che sfuggono pure a me che leggo.

Peter Mendelsund, “Che cosa vediamo quando leggiamo”, Corraini Edizioni, aprile 2020 (courtesy: Corraini Edizioni)

Attualmente siamo a circa 400 pagine dentro a La storia infinita di Ende, e qualche sera fa, con la coda dell’occhio, ho incominciato a osservare le bimbe durante la lettura. Ciascuna nel proprio letto, erano incantate a guardare il soffitto. Mi sono fermato e ho domandato: «che fate mentre leggo? Cosa vedete?».
Ne abbiamo discusso un po’, tra mille differenze e alcune similitudini nel modo in cui io e loro vediamo ciò che i libri ci stimolano a immaginare.

È questo il tema del nuovo, affascinante saggio di Peter Mendelsund, intitolato Che cosa vediamo quando leggiamo e pubblicato da Corraini.

Designer, direttore creativo, autore di centinaia di copertine nonché scrittore, Mendelsund è una sorta di leggenda vivente nel mondo dell’editoria, e nel suo libro, originariamente uscito negli Stati Uniti nel 2014, mette a frutto tutte le sue conoscenze come artista visivo, progettista e lettore per tentare di “smontare” l’intero processo di comprensione di un testo e interrogarsi — come spiegò tempo fa in un’intervista al New Yorker — sui modi in cui usiamo la parola vedere.

Peter Mendelsund, “Che cosa vediamo quando leggiamo”, Corraini Edizioni, aprile 2020 (courtesy: Corraini Edizioni)

Nelle oltre 400 pagine, che intelligentemente si sviluppano come un continuo dialogo tra testo e immagini (che stimolano a loro volta, per associazione, altre immagini), l’autore passa in rassegna esempi tratti da Woolfe, Tolstoj, Melville, Calvino, Dickens, Twain, Kafka, Tolkien; mette alla prova il pensiero di filosofi, semiologi, artisti e scrittori; esamina con attenzione — ma al contempo in maniera molto semplice e facilmente fruibile anche senza lauree umanistiche o scientifiche alle spalle — ogni singolo aspetto dell’atto di leggere, andando ad indagare il funzionamento dell’immaginazione e della memoria.

Immagini nitide e immagini sfocate, immagini portanti — come un muro o una trave — fatte di parole portanti. Immagini che appaiono a frammenti, disseminati per tutto il testo, che la nostra mente va a ricomporre e riadattare di continuo in base alle nuove informazioni. Libri fatti per essere letti rapidamente (come se si stesse viaggiando su un’auto) e altri invece pensati per essere percorsi a piedi («più che la traiettoria contano i panorami»).
E poi figure retoriche, sinestesia, schemi visivi, significanti, associazioni mentali («colonizziamo i libri con ciò che ci è familiare», scrive Mendelsund, riferendosi a luoghi, persone e, appunto, associazioni di idee nate magari solo da un cognome che ricorda un oggetto o un animale), immagini inimmaginabili — come le “geometrie impossibili” o i “terrori indicibili” di Lovecraft — che però immaginiamo lo stesso, pure se ci viene esplicitamente chiesto di non farlo.

Peter Mendelsund, “Che cosa vediamo quando leggiamo”, Corraini Edizioni, aprile 2020 (courtesy: Corraini Edizioni)

In Che cosa vediamo quando leggiamo, l’autore si (e ci) pone mille interrogativi, che stimolano riflessioni sul nostro modo di affrontare un testo, immaginare, pensare: la velocità con cui leggiamo influisce sulla nitidezza della nostra immaginazione? Forse immaginiamo di più quanto più un autore è criptico e sfuggente? Possiamo esercitarci a immaginare — così come ci esercitiamo a disegnare — per riuscire a immaginare meglio?

Quello di Mendelsund credo possa diventare un testo fondamentale, non solo per lettori appassionati ma anche per scrittori e artisti visivi.
Dove averlo letto, “entrare” in un romanzo, per un po’, non sarà più la stessa cosa. Verrà spontaneo tentare di fare un passo indietro, per osservare se stessi nell’atto di leggere e di vedere.

Peter Mendelsund, “Che cosa vediamo quando leggiamo”, Corraini Edizioni, aprile 2020 (courtesy: Corraini Edizioni)
Peter Mendelsund, “Che cosa vediamo quando leggiamo”, Corraini Edizioni, aprile 2020 (courtesy: Corraini Edizioni)
Peter Mendelsund, “Che cosa vediamo quando leggiamo”, Corraini Edizioni, aprile 2020 (courtesy: Corraini Edizioni)
Peter Mendelsund, “Che cosa vediamo quando leggiamo”, Corraini Edizioni, aprile 2020 (courtesy: Corraini Edizioni)
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