L’arte di dar la forma a un libro

Peter Mendelsund, per chi si occupa di editoria, è una sorta di mito vivente. In appena dieci anni di attività — ma con centinaia di copertine all’attivo — l’art director americano è considerato dagli addetti ai lavori alla stregua di un genio mentre il pubblico, a cui poco importa sapere il nome di chi ha curato la copertina di un libro, semplicemente afferra dalle pile dei bestseller e dagli scaffali delle librerie i volumi che quella vocina misteriosa consiglia loro di prendere.

Dar forma a quella vocina, renderla il più possibile convincente, dirompente, memorabile, talvolta sottile o — perché no — pure sexy, farla spiccare in mezzo ad altre migliaia, beh è proprio questo il lavoro di Mendelsund.

Che siano libri di autori contemporanei (spesso con un’immagine da creare ex-novo) o grandi classici (dunque da re-inventare), l’art director americano è capace di dare a un romanzo un’estetica capace non solo di influenzare l’acquisto ma addirittura la lettura, nonché di innescare, da quel momento in avanti, l’associazione automatica tra un elemento grafico (o un insieme di elementi) e un’opera, un autore o addirittura un’intera epoca storica o un immaginario fantastico.

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A chi volesse approfondire il lavoro di questo grandissimo talento consiglio Cover, una monografia che fa il punto sull’opera di Mendelsund, raccoglie il meglio della sua produzione e approfondisce ogni aspetto del suo iter creativo, mostrando tutte le fasi della realizzazione di una copertina, dall’ideazione alla grafica definitiva, comprese inedite bozze poi respinte dagli editori o cestinate dal designer stesso.

Come ogni vero artista Mendelsund è un condensato di umiltà e auto-ironia ma, soprattutto, è un grandissimo lavoratore: in una bella intervista rilasciata a inizio agosto al New Yorker, l’art director racconta che prima di lavorare al restyling grafico di una serie di classici, innanzitutto si rileggere attentamente i libri. Da lì poi inizia il processo che porta all’opera finale, che consiste (come spiega nella medesima intervista) appunto «nella lettura, nella traduzione della lettura in immaginazione e infine nella traduzione dell’immaginazione in un artefatto fisico».

Una “traduzione” che a volte costa sudore e fatica, come nel caso della copertina della versione americana del best seller di Stieg Larsson Uomini che odiano le donne: tre mesi di lavoro e quasi 50 bozze poi scartate.

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E come poteva essere la copertina di un libro che parla di copertine se non una meta-copertina, con un volume mostrato fronte, costola e retro sui rispettivi lati e una sovraccoperta trasparente con titolo, autore e blurb d’ordinanza in quarta?

D’altra parte, se fosse per lui, se non facesse il mestiere che fa, Mendelsund preferirebbe copertine tutte uguali, per ogni libro: fondo neutro e nessun elemento grafico a parte il testo.
Ché la “confezione” influenza comunque la lettura, e per un lettore vorace e appassionato quale è lui la libertà d’immaginazione è sacra e dopotutto ogni libro è capace di “farti vedere”.

Proprio a ciò che vediamo quando leggiamo Mendelsund ha dedicato un altro libro, uscito in contemporanea con Cover e intitolato What We See When We Read. Un saggio sulla letteratura, sulla percezione e sulla psicologia, pieno di immagini ed esempi e annunciato da una serie di intriganti trailer animati.

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