Nuove Frequenze: letture animate per un “festival che non si è potuto fare”

intervista all'artista d'animazione Beatrice Pucci

Per milioni di studenti e insegnanti di tutta Italia, quello del 2019/2020 è stato l’anno scolastico più drammatico, sorprendente, assurdo e complicato che si potesse immaginare. O meglio, non immaginare: cominciato come tutti gli altri — tra ansie, emozioni, urla, spintoni e zaini colorati — nessuno avrebbe scommesso un Euro sul fatto che si sarebbe concluso in remoto, davanti a uno schermo (dove possibile), nel chiuso della propria cameretta.

Tra le tantissime iniziative scolastiche saltate a causa della pandemia, ce n’è una particolarmente interessante, organizzata dalla Biblioteca Civica VEZ di Venezia e Mestre con il supporto dell’associazione culturale bolognese Hamelin, che oltre a curare il festival BilBOlbul porta anche avanti il progetto di promozione della lettura Xanadu.

(courtesy: Hamelin)

Nato proprio durante l’anno scolastico ancora corso, il progetto si chiama Nuove Frequenze. Leggere Giovani e ha coinvolto 400 tra ragazze e ragazzi delle scuole secondarie di secondo grado di Venezia e Mestre, che hanno partecipato ai laboratori tenuti dagli operatori culturali di Xanadu.
Secondo i piani, la naturale conclusione di questo percorso avrebbe dovuto essere un festival, a maggio, che avrebbe visto la partecipazione di quattro grandi autori: gli scrittori britannici Frances Hardinge e David Almond, l’autore tunisimo di graphic novel Néjib, e uno dei più interessanti nomi del fumetto italiano, Marino Neri, che ha anche disegnato il manifesto di Nuove Frequenze.

L’emergenza-virus ha ovviamente bloccato tutto, «andando ad aggravare», spiegano gli organizzatori, «un panorama — quello delle offerte culturali per ragazze e ragazzi tra i 13 e 17 anni — già povero in Italia. Nuove Frequenze era nato proprio per colmare questo vuoto».
Per non mandare perduto quanto fatto finora e, anzi, allargare la potenziale platea di spettatori, il festival ha deciso di spostarsi online, rimodulando l’offerta.

Il manifesto del progetto è stato realizzato da Marino Neri
A destra il making of dell’opera
(courtesy: Hamelin)

Ne è nato un programma completamente nuovo, che si articola in due momenti.
Il primo è Aspettando Nuove Frequenze, che è iniziato il 29 aprile e si concluderà il 15 maggio, e consiste nella pubblicazione di sei suggerimenti di lettura a cura di Xanadu, accompagnati da altrettante animazioni.
Il secondo, dal 20 al 22 maggio, è un ciclo di video-interviste animate nelle quali Frances Hardinge, David Almond, Marino Neri e Néjib raccontano i loro libri e il loro percorso di lettori.

Quello che doveva essere un evento dal vivo si è quindi trasformato in un’altrettanto preziosa — cito il comunicato dell’iniziativa — «piccola libreria di risorse che rimarrà a disposizione di chiunque — insegnanti, bibliotecari, librai, famiglie — voglia continuare a promuovere il libro e la lettura, anche (e soprattutto) in un momento come questo».

Beatrice Pucci, animazione per le letture tratte da Al di là del mare, di Lauren Volk
Voce: Federica Rampazzo (Hamelin, Progetto Xanadu)
Editing e montaggio: Matteo Gaspari

Autrice di tutte le animazioni — sia delle sei letture che delle quattro interviste — è l’artista marchigiana Beatrice Pucci, che ha lavorato in tempi record e con pochissime risorse (né più né meno di quello che aveva a disposizione a casa).
Classe 1979, oggi di base in Emilia, Pucci ha quasi vent’anni di carriera alle spalle: i suoi corti sono stati selezionati dai più prestigiosi festival nazionali e internazionali, ha esposto le sue sculture e i suoi disegni in tutto il mondo, ha lavorato nel cinema e nella pubblicità, ha realizzato videoclip, e nel 2016 una sua opera è entrata nella cinquina finalista dei Nastri d’Argento.

Per Nuove Frequenze, Beatrice Pucci è riuscita a condensare in pochi minuti l’essenza di libri come Al di là del mare di Lauren Wolk, Abbiamo sempre vissuto nel castello di Shirley Jackson, Alla fine del mondo di Geraldine McCaughrean, Lupa bianca lupo nero di M.A. Murail, Il diavolo nella bottiglia di R.L. Stevenson e Inutile Tentare Imprigionare Sogni di Cristiano Cavina.

Per saperne di più sul suo lavoro di animatrice, oltre che su questo e sugli altri progetti che sta portando avanti, ho deciso di intervistarla.

Beatrice Pucci, animazione per le letture tratte da Abbiamo sempre vissuto nel castello, di Shirley Jackson
Voce: Nicola Galli Laforest (Hamelin, Progetto Xanadu)
Editing e montaggio: Matteo Gaspari


Ho letto che hai iniziato da giovanissima: a 14 anni, se non sbaglio.

Sì, ormai posso dire che la maggior parte della mia vita l’ho dedicata all’animazione.
Ho cominciato a muovere i primi passi quando mi sono iscritta alla Scuola del Libro di Urbino. Poi mi sono innamorata della puppet animation grazie ad Animania, una retrospettiva di cinema di animazione che venne organizzata a Pesaro, nel 1998, da Bruno Di Marino.
Quella rassegna è stata uno stimolo incredibile perché in quegli anni non c’era accesso a internet e non si aveva grandi possibilità di vedere film di animazione.

Soprattutto in provincia.

Esatto. A scuola ci mostravano opere molto particolari ma le possibilità erano comunque limitate.
Quindi in quei giorni, durante Animania, ho praticamente passato la settimana chiusa dentro al cinema. Arrivavo alle 10,00 del mattino e tornavo a casa a mezzanotte.
Mi sono vista un po’ di tutto e ho scoperto il lavoro di Jan Švankmajer e quello dei fratelli Quay.
All’epoca per me l’animazione significava disegno animato, i miei riferimenti erano quelli televisivi. Quella rassegna mi ha mostrato che c’era dell’altro. Fin da piccola avevo la grande passione per costruire cose — anche mentre frequentavo la Scuola del Libro, per conto mio costruivo dei piccoli set, che però rimanevano lì, statici — e Švankmajer e i fratelli Quay mi hanno fatto capire che tutti quegli oggetti che costruivo potevano diventare i miei attori.

È in quel momento che hai cominciato a sperimentare?

Sì, anche se avevo delle basi, per quanto riguarda l’animazione, ho imparato la stop motion da autodidatta, in un momento in cui non c’erano tutorial per qualsiasi cosa, come oggi, né software specifici per questo tipo di attività.
Mi arrabattavo per capire i meccanismi, per riuscire creare qualcosa con budget zero.

Beatrice Pucci, Appunti per un film sulla vecchiaia di Pinocchio, 2001

Avrai imparato tantissimo in questo modo.

L’errore è stato il mio grande maestro. Ricordo un’estate in cui usavo un pc che continuava a surriscaldarsi e quindi dovevo lavorare di notte per sfruttare le temperature un po’ più basse. Ma la magia di rivedere una clip video dopo che l’avevi girata (oggi si può fare in tempo reale, quando ho iniziato no) ripagava di tutte le fatiche.
Ora non mi spaventa più niente.

La tua prima opera è Appunti per un film sulla vecchiaia di Pinocchio, realizzata mentre ancora frequentavi la Scuola del Libro. Fin da subito hai definito un immaginario “oscuro” ma ben riconoscibile, e inserito l’elemento “fiaba”, che è ancora oggi fortissimo nei tuoi lavori.

Il mio immaginario è un po’ oscuro perché le fiabe vanno in quella direzione.
Le fiabe sono un punto fondamentale della mia formazione e del mio immaginario. Anche il secondo cortometraggio, Vertigine, una storia d’amore tra una donna e un coniglio, è stato ispirato da una rilettura di Alice nel paese delle meraviglie, mentre Soil is alive è una fiaba ecologica.
Ora sto portando avanti un progetto esplicitamente dedicato alle fiabe popolari. È un progetto folle, che si chiama FLIP, che sta per Fronte Liberazione Immaginario Popolare, e ha assolutamente bisogno di qualcuno che se ne innamori e che mi aiuti a produrlo.
Finora ho autoprodotto la prima fiaba — Le nozze di Pollicino — e adesso sono all’inizio della seconda, intitolata Dove il sasso cadrà.

Beatrice Pucci, Vertigine, 2004

Come si svilupperà il progetto FLIP?

Inizialmente l’idea era di realizzare il corto di una fiaba per ogni regione italiana, su ispirazione del libro Fiabe italiane di Calvino. Poi col tempo il progetto si è ridimensionato e l’intento è di realizzare cinque fiabe popolari italiane. Anche perché molte delle storie raccolte nel libro non sono specifiche di una sola regione. Ad esempio ne ho ritrovate alcune del Piemonte che mia nonna mi raccontava oralmente quand’ero piccola, e lei non si mosse mai dalle Marche.

Un po’ come i canti popolari, alcuni si ritrovano simili in tante regioni.
A proposito de Le nozze di Pollicino, mi è sembrato di ritrovare i costumi del Teatro Bauhaus.

Sono proprio ispirati a quelli! Ho fatto un gran studio su quei costumi. Arrivare a quella sintesi è stato un duro lavoro. Non ero mai soddisfatta del risultato. Solo al sesto prototipo ho capito che c’ero arrivata.

Beatrice Pucci, Le nozze di Pollicino, 2018

Che tipo di lavoro c’è dietro a un prototipo?

Io sono una che costruisce tutto, anche l’armatura interna. Ne ho acquistata una di quelle professionali che si utilizzano solitamente per fare pupazzi, ma poi alla fine mi sono resa conto che per me non andava bene. Devo conoscerlo, il pupazzo, per riuscire a muoverlo. L’unico modo per conoscerlo intimamente è costruirlo in ogni sua parte.

Riguardo a prototipi e sperimentazione: in una clip uscita per l’iniziativa #animodacasa mostravi quelli per il secondo corto del progetto FLIP, dicendo di aver utilizzato per la prima volta il tessuto.

Il mio materiale prediletto per i pupazzi è sempre stato il lattice. Invece ora ho cominciato a pensare al tessuto puro e infatti la rana, protagonista della nuova storia, ha una pelle ricoperta di tessuto e di pizzo. Tra l’altro si tratta di tessuti vecchi, con una storia. Sono andata a casa di mia madre, nelle Marche, e ho tirato fuori cose che erano lì da cinquant’anni.
Usandolo, ho capito come si muove. Nel mio lavoro questo aspetto è importantissimo perché i pupazzi non sono sculture statiche: hanno problematiche tecniche, devono poter fare movimenti, e i materiali e le forme hanno caratteristiche e offrono possibilità. Parte dell’immaginario dei miei corti è dovuto anche a quello, alle forme dei pupazzi, che derivano dai movimenti che devono compiere.

https://www.facebook.com/asifaitalia/videos/2848050441957325/

Nella stessa clip si vedeva sulla tua scrivania una copia di Grammatica della fantasia di Gianni Rodari. Lì c’è un capitolo, uno dei miei preferiti, intitolato L’omino di vetro, in cui Rodari parla dei materiali come “agenti” importantissimi per la narrazione. Fa l’esempio di come un uomo di vetro abbia i pensieri ben visibili, in quanto trasparente; di come Pinocchio abbia quel tipo di avventure (brucia col fuoco, galleggia in acqua) perché è di legno.
Il tuo lavoro, dopotutto, si può ricollegare a questo.

Assolutamente sì. E credo che aver mosso i primi passi nella puppet animation da autodidatta abbia creato questa attitudine a sperimentare di continuo, a cercare il tipo di materiale utile a realizzare e raccontare la mia storia.

Come lavori su un corto? Da dove cominci?

Prima scrivo il soggetto poi inizio a lavorare sullo storyboard. In questa fase, a volte, mi rendo conto se funziona o se ci sono aspetti da rivedere.

In una tua intervista raccolta nel libro Conversazioni animate di Maria Pia Santillo, pubblicato da Raum Italic, ho letto questo: «Da sempre sono affascinata dagli angoli, quelli bui dove si annida la polvere, quelli a cui spesso non si presta attenzione. In quegli angoli a volte si nascondono i ricordi e le emozioni, io cerco solo di recuperarli come posso».
Ti chiedo, se possibile, di espandere questa idea perché l’ho trovata molto affascinante.

Non mi interessa raccontare la realtà. Perché semplicemente già c’è, è lì, e viene raccontata con altri mezzi. Con l’animazione preferisco raccontare un mondo “altro”, del quale cerco di andare a scavare i punti oscuri: sotto il letto, dove di solito non vuole guardare nessuno.

Beatrice Pucci, animazione per le letture tratte da Alla fine del mondo, di Geraldine McCaughrean
Voce: Federica Rampazzo (Hamelin, Progetto Xanadu)
Editing e montaggio: Matteo Gaspari

Parlami di Nuove Frequenze. Come hai lavorato, sia a livello di concept che a livello tecnico?
Sono molto curioso di sapere come hai creato quell’effetto di movimento, che potrebbe sembrare digitale ma ho il sospetto sia totalmente analogico.

Lo è.
L’animazione è un processo lunghissimo e trattandosi di sei filmati di sei minuti ciascuno, sarebbe stato impossibile usare la puppet animation, che avrebbe comunque “invaso” troppo lo spazio della lettura. E anche un’animazione bidimensionale a disegni avrebbe richiesto molto tempo. Quindi mi è venuta in mente una tecnica di cui avevo sentito parlare ma con la quale non mi ero mai cimentata.

Cioè?

Ho realizzato dei disegni su fogli di acetato. Li ho messi sopra a un tavolo luminoso. Poi ho utilizzato una cassetta di legno che avevo in casa, ho fatto dei buchi, ci ho piazzato sopra un bottiglione — uno da cinque litri (visto che sei marchigiano anche tu ti rivelo che una volta c’era del Verdicchio lì dentro!). Con la macchina fotografica messa in perpendicolare scattavo ogni volta che spostavo il bottiglione, montando poi il tutto con Dragonframe, il software che uso per la stop motion.

Una soluzione super-artigianale, dettata dal bisogno e degna del miglior cinema pre-digitale.

Sì, e anche dal fatto che coi negozi tutti chiusi potevo usare solo quello che avevo già in casa.
Ora ho imparato come si fa e probabilmente userò ancora questa soluzione. Ho già in mente di contattare qualche artigiano del vetro per farmi creare dei pezzi ad hoc.
Comunque non sono una purista dell’analogico. Ho fatto anche lavori totalmente in digitale. Ogni progetto ha il suo strumento più adatto. Ma animare quelle letture secondo me necessitava di un procedimento più “caldo”, dell’imperfezione.

Immagino tu non avessi letto tutti i libri protagonisti delle letture e delle animazioni. Su cosa ti sei basata per i disegni?

No, ma ora li voglio leggere tutti. Perché quelli di Hamelin sono incredibili: avevo i brividi ad ascoltare e riascoltare le letture. Grazie alle loro voci sono entrata dentro alle storie, senza aver bisogno di altre informazioni.

Beatrice Pucci, animazione per le letture tratte da Lupa bianca lupo nero, di Marie-Aude Murail
Voce: Mara Carotti (Hamelin, Progetto Xanadu)
Editing e montaggio: Matteo Gaspari

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