Disconnected, il documentario sulla solitudine di Alice Aedy

A Gennaio del 2018, durante una conferenza stampa, l’allora primo ministro britannico Theresa May annuncia la creazione di un nuovo ministero, quello della solitudine, a cui capo ci sarà Tracey Crouch. È una scelta a dir poco insolita, ma la Gran Bretagna deve far fronte al fatto che 9 milioni dei suoi abitanti vivono la solitudine come parte della loro triste realtà e che questa si sta facendo lentamente strada tra le più letali cause di morte. 

Devo essere sincera, non ho ben chiaro in Italia di quali numeri si possa parlare, ma sono sicura che, in questo momento spiacevole ma necessario di quarantena, per la prima volta stiamo prendendo consapevolezza di qualcosa che gli inglesi avevano ben compreso prima di noi: siamo più connessi sul piano virtuale ma abbiamo grandi lacune sul piano umano. L’aspetto peggiore? Che come per tutte le cose scomode preferiamo non parlarne, nascondiamo volentieri la polvere sotto il tappeto, facciamo finta di sentirci a nostro agio anche quando non lo siamo, ci affidiamo all’apparenza, sapendo che purtroppo basterà agli altri.

(fonte: aliceaedy.com)

Alice Aedy è una giovane fotoreporter e autrice di documentari, che, quando ha scoperto la notizia, ha cominciato a dubitare di essere finita in una realtà quasi distopica. Quando una situazione ti sembra sfuggire di mano, solitamente la soluzione migliore è quella di provare a capirla e così Alice ha creato una segreteria telefonica che le persone potevano chiamare per lasciare un messaggio in cui raccontavano la loro esperienza con la solitudine.
Ci sono volute solo 24 ore per riempire la memoria di quella segreteria, una notte passata ad ascoltarne i contenuti, diversi mesi per dare vita ad un documentario che racconta una selezione di alcuni di questi e che si intitola Disconnected

Sono poco meno di 14 minuti di pugno allo stomaco, perché nessuno ovviamente si ferma alla semplice ammissione di soffrire di solitudine. Ci sono dietro motivazioni, altre sensazioni, pensieri disturbanti, considerazioni sull’effetto di apparente soluzione che i social media possono fornirci, ma che in realtà non danno affatto, infine la salute mentale che va a rotoli. 

Credo di aver tenuto il fiato sospeso per tutto il tempo, mentre guardavo il documentario, perchè in ogni storia sentivo un’onda emotiva sommergermi e sbattermi sul fondo della realtà di questi giorni. Mi convinco che la virtualità mi farà sentire meno sola, ma la realtà è che è solo un palliativo che presto non basterà più. 

Potrei concludere questo articolo dandovi buoni consigli per sentirvi meno soli, ma forse il compito più importante di questi giorni che ci aspettano è semplicemente ammettere a noi stessi quando ci sentiamo tali e magari raccontarlo a qualcuno prima che diventi  la nuova epidemia da combattere, se non la è già.

(fonte: aliceaedy.com)
(fonte: aliceaedy.com)
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