Ogni anno a Santiago de Compostela, in Galizia, arrivano centinaia di migliaia di pellegrini, seguendo il cosiddetto Cammino di Santiago, che in realtà è una vera e propria rete di percorsi, che partono da posti diversi ma arrivano tutti al santuario di Santiago, dove si crede ci sia la tomba di Giacomo di Zebedeo, uno dei dodici apostoli di Gesù.
Ci sono andato anche io una volta, nel ’96, a 17 anni, nell’ultima vera vacanza passata con i miei genitori. Siamo arrivati a Santiago in macchina, senza fare il cammino, e quell’aura — quella “magia” di cui mi hanno parlato tutti coloro che hanno macinato chilometri a piedi per giungere lì, anche quelli che, come me, non sono stati toccati dalla fede — non l’ho sentita.
Dopotutto non si dice sempre che non è la meta, l’importante, ma il viaggio?
Tuttavia la curiosità — sul Cammino e su chi decide di percorrerlo — mi è rimasta.
Per questo motivo, quando mi ha scritto Diego Laredo de Mendoza per presentarmi il suo poster sul Cammino di Santiago ho deciso di approfondire, e di chiedergli come e perché.
Raccontami innanzitutto un po’ di te.
Nonostante il nome, di chiara origine spagnola, sono italiano, torinese per la precisione. Sono del 1978 e lavoro come designer.
Ho studiato grafica e ho avuto la fortuna di fare uno stage ancora prima di finire la scuola, in un piccolo studio torinese dal quale poi non me ne sono effettivamente andato. Ci sono rimasto dal ‘96 al 2005, dopodiché con un mio amico e un ex compagno di banco abbiamo fondato, nel 2008, Flarvet, un collettivo di freelance, una formula che per noi che ne facciamo parte si è rivelata molto efficace, concedendoci molta elasticità, potendo costruire team di lavoro in base al progetto.
Nel caso del poster si tratta invece di un progetto personale?
Sì, in questo caso sì. Ed è nato per caso. È stata una sorta di illuminazione, arrivata in un pomeriggio di luglio. Era il 2017, c’era un caldo micidiale e non riuscivo neanche a stare davanti al computer, quindi decisi di andarmene a casa. Mi misi a letto, ipnotizzato a guardare il nulla fuori dalla finestra, nient’altro che cielo blu, e lì mi venne in mente di realizzare un poster sui cammini di Santiago.
È stata a tutti gli effetti una ispirazione divina, visto che stavi guardando il cielo.
[Ridendo, ndr] Esatto.
Perché proprio il Cammino di Santiago?
Il primo Cammino l’ho fatto nel 2006, un’esperienza che mi ha lasciato un segno profondo. Non so se tu l’abbia mai fatto il Cammino — nel caso sapresti a cosa mi riferisco — ma se parli con qualcuno che l’ha fatto vedrai che tutti ti diranno di essere rimasti segnati.
[Racconto della mia visita a Santiago in auto, ma anche di come diversi miei amici, tutti non credenti, abbiano comunque avuto un’esperienza che ha lasciato una traccia evidente.]
Io di cammini ne ho fatti un po’, e col tempo ho capito dove sta la “magia”. Quando parti a fare un’esperienza del genere, per la prima volta in vita tua ti ritrovi in un certo “assetto” fisico e mentale: sei lontano da casa, spesso e volentieri da solo, magari in un paese che non è il tuo, a fare per un mese di fila una cosa che non hai mai fatto, cioè mangiare, camminare, dormire e basta.
Dopo una settimana, dieci giorni, cominci a dimenticare le bollette, le riunioni, gli impegni familiari. Il cervello inizia a “spegnere” tutta una serie di cose, e il fisico, che è molto più rapido della mente ad adattarsi, si abitua e capisce che si fa quello — camminare, mangiare, dormire. Ritorni quindi all’essenzialità della vita e delle cose, e sei circondato da persone nella tua stessa situazione fisica e mentale.
Cambia anche la cognizione del tempo?
In un certo senso sì. Anche soltanto per il fatto di svegliarsi prima che sorga il sole e assistere quindi a una quantità di albe quante non ne hai mai viste in vita tua, a meno che tu non abbia già l’abitudine di svegliarti presto nella vita di tutti i giorni.
Dai racconti di chi ha fatto il cammino è evidente che, chi parte, lo fa quasi sempre con una motivazione forte, in periodi di crisi o di grande cambiamento.
Sì, è una di quelle esperienze che fai quando è “il momento giusto”. Ti può succedere a vent’anni, a trenta, a cinquanta: non c’è un momento per farlo, quando lo fai è il momento giusto. Durante i cammini che ho fatto ho ascoltato tante storie e ce ne sono di incredibili: chi era lì perché aveva perso una scommessa, chi aveva fatto un voto…
Tu perché sei partito la prima volta?
Io sono sempre stato uno che cammina molto. Fin da bambino: montagne, sentieri. A un certo punto ho scoperto dell’esistenza del Cammino di Santiago e quell’informazione è rimasta lì per tanto tempo a macinare e macinare. Nell’estate del 2006, poi, si sono presentate le condizioni giuste. Avevo un mese a disposizione, nessun lavoro urgente che doveva partire e quindi decisi di andare. Era “il momento giusto”.
Nel 2008, poi, si sono ripresentate le condizioni e l’ho fatto di nuovo. Poi per qualche anno sono rimasto fermo, finché, nel 2015, ecco un’altra occasione. Devi sapere che l’Officina del Pellegrino di Santiago ha un sito dove vengono pubblicate tutte le statistiche, con quindici anni di dati, dal 2004 a oggi. Da quelle statistiche vidi che, rispetto al 2006, i pellegrini erano aumentati a dismisura, quindi decisi di fare un cammino meno affollato. Mi venne in mente la Via Francigena, che non è così gettonata come il Cammino di Santiago.
È stato proprio lungo la Via Francigena, dove ci sono state molte più occasioni di solitudine, che ho compreso quella che ho definito come la “magia” del cammino, il cammino in generale e non solo quello di Santiago. Quando ti metti in cammino succedono delle cose. Anche nella vita, metaforicamente.
Entri in un altro stato mentale, i pensieri acquistano il ritmo del camminare. Torniamo al Cammino di Santiago, che però non è “un” cammino, ce ne sono molti.
Quando si parla di Cammino di Santiago, la maggior parte delle persone si riferisce a uno soltanto dei tanti cammini di Santiago, cioè quello che si chiama Cammino Francese, ma in realtà ce ne sono tantissimi: il Cammino del Nord, il Cammino Inglese, la Via della Plata… Adesso sta prendendo piede il Cammino Portoghese, proprio perché la via francese è completamente satura. Ma ce ne sono molti altri, che neppure io conoscevo, e quando mi è venuta l’idea del poster sono andato a studiarmeli, rendendomi conto che, per numero e complessità, c’erano tutti gli ingredienti anche per un lavoro di infografica.
Ti sei quindi subito buttato nella realizzazione del poster?
Prima ho passato un po’ di tempo su Google a controllare se ce ne fossero già altri. Pensavo di sì ma, onestamente, sono rimasto stupito perché non ho trovato grandi cose. A quel punto il problema era trovare il modo di mettere assieme dati e percorsi, trovare una metafora narrativa.
La conchiglia, che è proprio uno dei simboli dei pellegrini in cammino.
Il giorno dopo, mentre ero in studio, in pausa caffè coi colleghi, raccontando di questa idea del poster, mi è venuta in mente la soluzione. Visualizzando i cammini che conoscevo, con Santiago in alto a sinistra sulla mappa della Spagna e tutti i percorsi che conducono lì, mi sono reso conto che la penisola iberica “è” la conchiglia e i cammini le sue costole. Bastava “ruotare” la Spagna.
Che difficoltà hai avuto durante la progettazione?
Non è stata affatto una passeggiata. Ma visto che non c’erano committenti né tempistiche da rispettare, ho deciso di prendermi tutto il tempo necessario. Mi sono detto: «la parola “fine” la devi mettere solo quando avrai fatto tutto quello che potevi fare».
Poco dopo aver iniziato a sviluppare il poster sono partito per l’Italia Coast to Coast, un percorso che dall’Adriatico arriva al Tirreno, dal Conero a Orbetello. I pellegrinaggi, che uno sia credente o meno, li trovo emotivamente più impegnativi, questo invece è un cammino laico e ancora poco frequentato che dura una ventina di giorni, perfetto per riflettere ed elaborare il progetto in cui mi ero imbarcato. Ma la spiritualità la trovi anche lì. Il mettersi in cammino e la spiritualità vanno a braccetto.
Al rientro mi sono letto tutto quello che c’era da leggere, ho preso guide, ho cercato mappe, itinerari, per farmi un’idea complessiva di quello che è oggi il Cammino di Santiago, considerando che nuovi cammini continuano a spuntare come i funghi.
Ah, quindi non ci sono solo le vie “storiche”, con delle radici nel passato?
No, continuano a inaugurarsene di nuovi. E man mano che ne scoprivo, dovevo ridisegnare tutto. È stato faticoso e intenso. Non solo a livello progettuale ma anche emotivo: quando mi sono messo a disegnare il cammino francese, scrivendo uno a uno i paesini, cioè tutti posti in cui ero passato, ho rivissuto molti ricordi e mi sono reso conto che non stavo semplicemente disegnando una mappa ma le storie di migliaia di persone.
Sul poster i cammini sembrano delle linee della metropolitana.
C’è una scelta ben precisa dietro a questo. Quando cammini, quello che misuri sono i chilometri e nella tua mente li visualizzi come lineari, anche se non lo sono. Su una mappa della metropolitana i percorsi sono molto semplici da leggere ma spesso le distanze non sono reali, su una mappa tradizionale invece è difficile calcolare le distanze seguendo un tracciato.
Sul poster i percorsi sono visualizzati in forma lineare rispettando però fedelmente le distanze tra i paesi fino a Santiago, rendendo così la consultazione più semplice ed immediata. Una griglia orizzontale ad intervalli di cento chilometri, che esteticamente ricorda le striature della conchiglia, aiuta ulteriormente la lettura. Per semplificare il lavoro di mappatura ho convertito i chilometri in millimetri, lavorando così su un file in scala uno ad un milione, il tutto è poi stato ridotto per ovvie esigenze di stampa.
Vedo che non c’è una legenda.
A me piacciono tantissimo i sistemi di auto-apprendimento, i manuali Ikea, le istruzioni dei Lego.
O, come diceva Munari, i giochi che non hanno bisogno di istruzioni.
Esatto.
E fare un’infografica senza legenda significa inserire elementi che possano essere facilmente decodificati. Mettere una legenda, poi, avrebbe introdotto il problema linguistico: in quale lingua scriverla?
I nomi delle tappe sono ovviamente in spagnolo, ma in spagnolo ci sono anche alcune citazioni.
Sono proverbi o incisioni particolarmente famose legate a cammini o città, ma ci sono anche dei luoghi che non sono dei paesi. Un esempio su tutti, la Cruz de Hierro, sul Cammino Francese: una piramide di pietre sulle quali è piantato un palo, in cima al quale c’è una piccola croce di metallo. Quello è un luogo-chiave, e infatti c’è in tutti i film, documentari, libri sul Cammino di Santiago. Lì la gente prega, piange, lascia l’ultimo pacchetto di sigarette, appoggia una pietra che si è portata da casa, abbandonando idealmente dietro di sé un peso, una tragedia, il passato, i propri peccati. Un posto del genere non potevo non metterlo, e sugli altri cammini ci sono luoghi di simile portata. Pur non essendo né città né paesi dovevo trovare comunque un modo per inserirli.
A livello di design i problemi maggiori da risolvere sono stati i doppioni, cioè quelle città nelle quali passano più percorsi e i cammini particolarmente articolati, uno su tutti la variante spirituale del cammino portoghese. Si tratta di un brevissimo tratto che si stacca dal cammino principale, raggiunge la costa e, via barca, risale un pezzo di fiume e arriva in un paese che si chiama Padron. Viene definito come La madre di tutti i cammini perché, quando hanno portato il corpo di Giacomo in Spagna, hanno circumnavigato la Spagna, sono risaliti per la costa portoghese e si sono effettivamente infilati per quest’insenatura fino a Padron, proseguendo poi via terra fino a Santiago de Compostela.
Invece le zone rosse cosa rappresentano?
Fuori dalla conchiglia, dove vedi tutti quei cerchi a mezzaluna, quelli rappresentano l’affluenza, dove si capisce che il massimo è ad agosto. Allo stesso modo, i cerchi rossi sui vari cammini indicano quante persone ci sono, e ti rendi conto che sono quasi tutti sul Cammino Francese e che la maggior parte delle persone inizia il cammino a partire da 100 chilometri da Santiago. Quello dei 100 chilometri è un punto particolare perché, per avere la Compostela — cioè la pergamena rilasciata dall’Ufficio dei Pellegrini che attesta che tu hai fatto il Cammino — devi dimostrare di aver fatto almeno 100 chilometri a piedi (o 200 se sei in bici), distanza che mediamente impieghi circa una settimana a percorrere, e una settimana di ferie riescono a prendersela più o meno tutti. Poi c’è tutta una serie di dati interessanti: sesso, età, motivazione, mezzo di trasporto, paesi di provenienza.
Ho visto anche che, dopo gli spagnoli, gli italiani sono i più numerosi.
Sì, e a stretto giro ci sono i tedeschi, poi gli americani — cosa che non pensavo. Per le statistiche ho usato i dati rilasciati dal sito dell’Officina del Pellegrino, come ti accennavo prima.
Ho dato un’occhiata anch’io alle statistiche e la questione provenienza mi ha molto incuriosito, soprattutto per quei paesi con pochissimi visitatori, o addirittura solo uno. Per esempio, per il 2018: Brunei, 3 visitatori; Madagascar, 2; Groenlandia, 2; Barbados, 1; Sierra Leone, 1; Aruba, 1.
Chissà che storie ci sono dietro.
Infatti.
Un altro aspetto che mi premeva molto era poter ottenere un doppio uso del poster. Se tu hai fatto il Cammino e conosci i cammini, diventa una sorta di gioco. Ti metti lì la sera e te li guardi per scoprire, riscoprire, ricordare. Allo stesso tempo mi piaceva l’idea che, guardando il poster, anche se non sai che cos’è, per una frazione di secondo possa darti una sorta di colpo al cuore. Per me è stato anche il modo per racchiudere, in una composizione che lo sguardo può abbracciare in un istante, un’esperienza intensa che, sulla strada, è durata per circa un mese. È come se un amico ti chiede «com’è stato?» e tu, invece di trascinarlo in un racconto di cinque ore, con foto e tutto, glielo “zippi” in una sola immagine.
Creare il poster è stato, a suo modo, un altro cammino.
Lo è stato.
Che riscontro hai avuto da chi lo ha acquistato?
Io scrivo personalmente a tutte le persone che lo acquistano, per ringraziarle. Vendendo online, quindi non essendoci contatto diretto, mi pare giusto dire almeno «grazie».
Qualcuno risponde. Qualcun altro no. Quelli che rispondono a volte ti raccontano anche cosa c’è dietro, ed è una cosa bellissima, che da sola ripaga per tutto lo sforzo fatto e il tempo investito.