Della predilezione del dittatore Kim Jong-un per i toni pastello sappiamo già, ma l’auto-reclusione della Corea del Nord dal resto del mondo fa di essa un oggetto d’indagine tanto ambito e interessante quanto sfuggente, difficile da riuscire a catturare appieno. Essendo praticamente impossibile — per chi osserva da lontano e per il visitatore che arriva da fuori — poter andare in profondità nell’esplorazione della società e della vita quotidiana dei nordcoreani, ciò che il paese offre di sé è un’immagine dalla prospettiva schiacciata, una proiezione nella quale la propaganda di regime e le poche notizie che oltrepassano la frontiera si mescolano alle congetture di chi non può vedere oltre la cortina di fumo che si alza da uno degli ultimi stati totalitari socialisti del mondo.
Proprio su questa ineffabilità, sul confine sfumato tra realtà e artificio, si basa Model City Pyongyang, un libro difficile da definire perché sta a sua volta sul limite tra un volume di fotografia, uno studio di architettura e un progetto di quelli che si fanno all’università — «Immagina la tua città ideale» — per mostrare le proprie capacità e competenze all’opera su qualcosa che effettivamente non esiste, che è più o meno ciò che è la capitale della Corea del Nord, Pyongyang, un’utopia (o una distopia) di cemento, di colori tenui, di edifici che sembrano usciti da film di fantascienza di qualche decennio fa, di strade tanto pulite e giardini tanto curati che non sembra possa esserci mai passata anima viva, di luoghi che sembrano vuoti, eretti pensando solo alla forma e per nulla alla funzione, seguendo la fantasia del leader e non i bisogni della società.

Una Città Ideale, questo il punto di vista dal quale gli autori — Cristiano Bianchi e Kristina Drapić — hanno osservato lo spettacolo (inteso sia come panorama che suscita meraviglia sia come messinscena) che Pyongyang dà di sé.
Entrambi architetti, Bianchi e Drapić lavorano a Pechino e hanno visitato per la prima volta la Corea del Nord nel 2015, per scoprire e conoscere quello che, in un pezzo uscito sul New York Times, hanno definito come «un punto nero sulla nostra mappa mentale, riempito, come per molti, da stereotipi e preconcetti».
Grazie a una tra le pochissime agenzie viaggi accreditate dal regime — la Koryo Tours, fondata da Nicholas Bonner, collezionista e autore di uno straordinario libro sulla grafica nordcoreana — i due hanno da allora compiuto un totale di quattro visite, scattando un gran numero di foto e interessandosi in particolare dell’aspetto architettonico.
Colpiti da quella che chiamano «realtà fittizia», Bianchi e Drapić hanno deciso di giocare su questo aspetto modificando le immagini pubblicate in Model City Pyongyang. Una modifica quasi impercettibile per il lettore che ne è all’oscuro, o che comunque viene a nudo solo dopo aver osservato svariate foto: il cielo.
Osservando bene si nota infatti che è quasi sempre identico. La scelta degli autori è stata quella di sostituirlo con le medesime, irreali sfumature che gli artisti nordcoreani usano sempre per rappresentarlo: ennesimo esempio di “ideale” che va a sostituirsi al “reale” in una città in cui i due aspetti si sovrappongono continuamente.
Model City Pyongyang, che si apre con una prefazione del giornalista e scrittore Pico Iyer, è pubblicato da Thames & Hudson e si può acquistare anche su Amazon.







(foto: Cristiano Bianchi | courtesy: Cristiano Bianchi e Kristina Drapić)

(foto: Cristiano Bianchi | courtesy: Cristiano Bianchi e Kristina Drapić)

(foto: Cristiano Bianchi | courtesy: Cristiano Bianchi e Kristina Drapić)

(foto: Cristiano Bianchi | courtesy: Cristiano Bianchi e Kristina Drapić)

(foto: Cristiano Bianchi | courtesy: Cristiano Bianchi e Kristina Drapić)