Era il 1993 quando Franco Battiato andò dal filosofo e poeta Manlio Sgalambro e gli propose di scrivere il libretto di un’opera che stava componendo. Quell’opera era Il cavaliere dell’intelletto — la prima di tante collaborazioni tra i due intellettuali siciliani — e venne presentata a Palermo l’anno successivo. Il prologo, potentissimo, si intitolava La teoria della Sicilia.
Cominciava così:
«Là dove domina l’elemento insulare è impossibile salvarsi.
Ogni isola attende impaziente di inabissarsi.
Una teoria dell’isola è segnata da questa certezza. Un’isola può sempre sparire.
Entità talattica, essa si sorregge sui flutti, sull’instabile.
Per ogni isola vale la metafora della nave: vi incombe il naufragio.
Il sentimento insulare è un oscuro impulso verso l’estinzione. L’angoscia dello stare in un’isola come modo di vivere rivela l’impossibilità di sfuggirvi come sentimento primordiale».
Parla della Sicilia e dei siciliani, Sgalambro, ma la sua è una considerazione che si può estendere a tutte le isole e a chi le abita.
Il concetto stesso di isola, però, è sfuggente. Se da un lato, come dice il poeta, essa può sparire, sommersa dalle acque, le medesime acque possono ritirarsi e ricollocarla nel novero delle penisole. E con i continenti come la mettiamo? «Improvvisamente mi fu chiaro che le isole altro non sono che piccoli continenti e che i continenti, a loro volta, non sono altro che isole molto, molto grandi», scrive Judith Schalansky nella prefazione (intitolata, per la cronaca, Il paradiso è un’isola. Anche l’inferno.) del suo Atlante delle isole remote.
Questione di punti di vista, e di convenzioni, che depennano ad esempio l’Australia dall’elenco delle isole, assegnando invece il primo posto alla Groenlandia, seguita da Nuova Guinea, Borneo, Madagascar, Baffin, Sumatra, e via di seguito, in una lista assai precaria, perché il calcolo della superficie è complesso e mai stabile, e soprattutto perché agli ultimi posti si “lotta” per la sopravvivenza, tra terre che scompaiono e terre che emergono dai mari e dagli oceani.
Ben cosciente di questo, il cartografo David Garcia ha comunque provato a fotografare la situazione attuale, prendendo le prime 100 isole per grandezza e raccogliendole tutte in un poster, dove sono rappresentate in scala, dalla Groenlandia, appunto, fino a Guadalcanal, passando anche per le nostre due regioni circondate dalle acque, la Sicilia e la Sardegna, rispettivamente alla 42ª e alla 44ª posizione (sono entrambe più grandi della Giamaica, cosa della quale, sinceramente, non mi ero mai accorto).
L’effetto è piuttosto straniante e, tolte dal loro contesto cartografico, le isole sembrano dei modellini da toccare, grazie anche alla rappresentazione dei rilievi, oppure reperti che potrebbero stare nella vetrinetta di un museo, soprattutto nella versione monocromatica del poster.
«La cartografia [è] un’arte a cavallo tra l’astrazione sfacciatamente semplificante e l’appropriazione estetica del mondo», scrive ancora Schalansky. Ma ogni mappa è anche un potentissimo dispositivo per scatenare riflessioni, nostalgie, incontri. A dimostrarlo c’è il lungo e interessante thread che si è sviluppato su Reddit quando Garcia, l’autore del poster, ha deciso di postare lì la sua opera.
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