Nato ad Amsterdam nel 2015, MacGuffin è un magazine indipendente che — come ho già scritto altre volte — si occupa di un tema molto stimolante: la vita degli oggetti comuni.
Oggetti anonimi e archetipici, come ad esempio il letto, la finestra, la corda, il lavello, la credenza, che sono poi quelli attorno ai quali ruotano i primi cinque numeri della rivista.
Oggetti che quanto più sono banali tanto più appaiono complessi. Perlopiù immutati nonostante i progressi tecnologici, sono catalizzatori di storie, testimonianze di eventi cruciali, portavoce di aneddoti bizzarri, retaggio di sfide tecniche del passato e potenziali inneschi per quelle del futuro, tracce di modelli di pensiero, aspirazioni e stili di vita, simbolo di concetti elevati.
Prendiamo ad esempio la palla. La semplice, ordinaria, comunissima palla, protagonista del sesto numero del magazine.
«I raccattapalle le acchiappano, le macchine per scrivere le colpiscono1, Adidas le cuce e le biro le nasconde» c’è scritto tra le prime pagine del magazine.
Tra le 232 pagine di MacGuffin n.6 c’è spazio per l’alto come per il basso, prendendo in esame la palla come elemento fondamentale per molti sport, andando a dissezionare palloni, cercando di entrare nelle menti degli architetti che vedono la perfezione della sfera quale fine ultimo del loro lavoro, raccontando la storia di László Bíró e della sua invenzione più famosa, mettendo piede nelle discoteche (la sfera specchiata!), mostrando, in sostanza, che attorno o dentro a una sfera possono nascere culti, speranze, utopie, successi commerciali, mode e sperimentazioni artistiche.