Dire “i confini dell’universo” significa infilarsi in un discorso — metaforicamente e letteralmente — molto più grande di noi. O comunque più grande di me. Per quanto ne so io (ma accetto volentieri lezioni davanti a un caffè: ho già pronto lo sguardo da scolaretto affascinato e sovrastato dalle informazioni che avevo quando da ragazzino frequentavo il circoletto degli astrofili), l’universo è in espansione ma non abbiamo ancora abbastanza informazioni per decretare con certezza se sia infinito oppure no.
Anche qualora sia finito, tuttavia, non dovrebbero esserci confini, dato che l’universo non sta dentro a qualcos’altro (a meno che non viviamo in un universo dentro a un altro universo, però preferisco non addentrarmi in quei territori. O meglio, solo con l’immaginazione e non coi maldestri tentativi di spiegazione).
Gli unici confini sono quelli intrinsecamente legati alla nostra possibilità di osservazione, che arriva a 46 miliardi di anni luce1, ma ovviamente l’universo non finisce lì.
Provare a concepire semplicemente con la fantasia, però, non costa nulla. O perlomeno costa molte ore di lavoro, come quelle passate da Nicolas Arnold a lavorare su Helios, che il designer tedesco definisce come un tentativo di «considerare come possano apparire i confini dell’universo».
Realizzato interamente nello scantinato di casa sua, il video mette assieme computer grafica ed effetti speciali “artigianali”, creati combinando liquidi, inchiostri e sostanze chimiche fino a generare spettacolari movimenti di fluidi e di colori, il tutto combinato con immagini che lasciano intendere che ci sia un uomo, dentro a una navicella, a esplorare quegli spazi fantascientifici, mentre i suoni utilizzati sono quelli della vera missione Apollo 11, quella che per portò per la prima volta l’uomo sulla luna.