È già stata ribattezzata la «Vivian Maier russa» e in effetti qualche similitudine con l’eccezionale storia della bambinaia di Chicago (la cui biografia è diventata anche un albo illustrato: ne parliamo qui) c’è.
Come Maier, anche Masha Ivashintsova ha lasciato una quantità impressionante di negativi, ben 30.000, e pare che in vita non abbia mai mostrato ad anima viva le sue foto; come lei, pure, è stata scoperta “postuma” (sebbene Vivian Maier fosse ancora viva quando John Maloof, figlio di un rigattiere, comprò all’asta i suoi negativi, ma trovò la tata fotografa soltanto dopo la sua morte).

(fonte: rferl.org)
Le similitudini, però, finiscono qua, perché a scoprire il talento di Ivashintsova è stata sua figlia Asya, che insieme a suo marito, appena qualche mese fa, a fine 2017, ha trovato i negativi nella soffitta della loro casa di San Pietroburgo, città dove Masha Ivashintsova nacque nel 1942, quando ancora si chiama Leningrado, e dove visse la maggior parte della sua breve vita.
Di origine aristocratica, partecipò ai fermenti artistici clandestini che movimentarono la vita culturale della Leningrado degli anni ’60 e ’70, ed ebbe relazioni con celebri personaggi dell’epoca, come il fotografo Boris Smelov, il poeta Viktor Krivulin e il linguista Melvar Melkumyan, che è anche il padre della sua unica figlia Asya, colei che ha scovato i negativi e che ora ha deciso di riportare alla luce la storia e le opere della madre attraverso un sito — mashaivashintsova.com — e i relativi profili social, tra cui Instagram: @masha_ivashintsova.

(fonte: rferl.org)
Asya sta pian piano facendo sviluppare le pellicole con le foto che Masha Ivashintsova scattò tra il 1960 e il 1999 utilizzando una Leica IIIc e una Rolleiflex. Come spiega la figlia sul sito, «credeva sinceramente che la sua opera impallidisse in confronto alla loro [quella degli uomini che frequentò, ndr] e di conseguenza non mostrò mai a nessuno i suoi lavori fotografici, i suoi diari e le sue poesie durante la sua vita». Vita che, tra l’altro, finì tragicamente: caduta in depressione e rimasta senza lavoro, passò anni negli ospedali psichiatrici e morì di cancro nel 2000 a soli 58 anni.
17 anni dopo, con la scoperta dei negativi e dei diari, la figlia Asya si è resa conto di aver avuto una madre straordinaria. «Vedo mia madre come un genio», scrive. «Ma lei non si è mai vista come tale — e non ha mai lasciato che qualcun altro la vedesse per ciò che realmente era».

(fonte: rferl.org)

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