cartoleena da San Marino

Cartoleena: su Instagram, l’analisi semiotica delle cartoline brutte

Le vecchie cartoline, come ci ha raccontato la nostra Sabrina Ramacci in un articolo di qualche mese fa, sono da decenni l’obiettivo di satira e parodie, ancor prima dei social network e dei meme che circolano sul web.
Perché vecchia cartolina equivale spesso a dire brutta cartolina, con foto pessime, scelta di font allucinante, progetto grafico raffazzonato, per un risultato che oscilla tra il kitsch e il surreale, il nonsense e la comicità inconsapevole. Il tutto reso ancora più pazzesco da fatto che qualcuno — noi compresi — le ha effettivamente acquistate, spedite, ricevute.

Il gioco, per chi va a caccia di questi reperti del passato, è solitamente quello di evidenziarne il carattere paradossale e l’aspetto pacchiano attraverso didascalie che decontestualizzano la cartolina e la inseriscono in una nuova cornice concettuale.
Uno studente di design e comunicazione di Foligno, Lorenzo Marchionni, ha deciso di fare di più.

È chiaro che qualcosa sfugge alla logica del razionale. Un supporto figurativo porta in grembo il suo naturale contenuto, l’altro un castello su sfondo magrittiano. I due elementi comunicano tra di loro scambiandosi sguardi di intesa, ma per Jacques Lacan, noto psicanalista francese, lo sguardo è un chiasmo, un incrocio tra colui che vede e colui che viene veduto. In questo modo è semplice comprendere che il cielo è si azzurro, ma in potenza vermiglio, ed il castello esibisce sì merli, ma in potenza semi neri di cocomero.

Con una passione per il brutto e l’idea di sottolineare non soltanto la dozzinalità di alcune cartoline ma di fare anche la parodia delle seriose e polverose analisi critiche, lo scorso febbraio Lorenzo ha aperto l’account Instagram Cartoleena, pubblicando cartoline accompagnate da testi che ne commentano il valore semiotico e grafico.

«Uso quelle che ho io, ne compro di nuove, ne cerco di vecchie da parenti e amici», mi ha raccontato Lorenzo, che attualmente, dopo la laurea triennale in design del prodotto, sta studiando comunicazione visiva a Venezia ed è molto interessato a discipline come la semiotica e la psicologia che, spiega, «credo possano darmi un’ottima chiave di lettura rispetto a quello che mi sta attorno».

Misano, Praga, Verona, Palermo, Cefalù, Roccavivara, Pescara… Quelle pubblicate finora da Cartoleena sono spassosissime da guardare a da leggere.
Sopra e di seguito alcuni esempi, comprese due cartoline di Bologna commentate appositamente per Frizzifrizzi.

Il ritrovamento di questi due testi suscita un rinnovato interesse relativo al tema della soggettivazione dell’opera d’arte. Da prendere assolutamente in esame è la disposizione di un fraterno dialogo fra i due, sintesi sottesa di una problematica comune, che li lega sia figurativamente che in altre (poco scavate) modalità. Quello che maggiormente stupisce ognuno di noi, dal più attento dei teorici d’arte al più ignorante uomo di ogni tempo, sembra essere la capacità dei riconoscibili artefatti figurativi (presentati entrambi rigorosamente in cromatismi scarlatti) di creare varchi spaziali, attraverso i quali si legittima l’inscindibile relazione carnale dell’artefatto stesso con il testo visivo a cui fa capo. In questo modo, velocipedi e Vespe 50 special, ostentano il loro fine comune, per innalzarsi ad una condizione superiore, che solo tramite l’ausilio della potenza dell’immagine, a parer mio, è possibile raggiungere appieno. Fa da padrone il concetto sintomatico del visuale, il quale, qualora i miei lettori fossero interessati ad approfondire, viene largamente trattato in molte fra le opere di Georges Didi – Hubermann.

Poniamo l’attenzione sulla questione del nome che da innumerevoli generazioni sembra essere l’attività che maggiormente rassicura l’uomo e lo rende capace di conoscenza. Margherita Ristorant si tratta senza dubbio del frutto di un oculato processo di naming, curato attentamente in ogni suo possibile sfogo comunicativo. La scelta di un’insegna con un carattere graziato innesca nel suo fruitore un immediato senso di raffinatezza. Pregevole anche l’utilizzo della luce: Margherita ristorant si configura nel testo visivo come un piccolo barlume di speranza nel vasto buio di tristezza circostante. Doveste, oh forestieri, passare fortuitamente per Viareggio, fossi in voi, non avrei dubbi nella scelta del loco in cui rifocillar lo stomaco e l’animo mio.

Una quadripartizione generata da assi ortogonali rende esplicito il riferimento a Cartesio, Castelfidardo rappresenta dunque lo zero di un sistema tanto complesso quanto genuino. Si prenda in esame il trialogo figurativo tra le due fontane e la fisarmonica fissata nel primo quadrante. Nulla ci impedisce di pensare che queste non raccontino integralmente l’essenza storica della località che presentano: quali elementi migliori per intrigare il pubblico ed invogliarlo a se? Mi piace, quando possibile, integrare l’analisi del testo con aneddoti dal taglio accattivante: sembra che gli elementi orizzontali che formano il lettering della scritta Castelfidardo abbiano ispirato il logotipo della celebre azienda IBM.
Ps: il termine trialogo (ispirato a dialogo) non esiste, ma soddisfaceva perfettamente le esigenze dell’autore nell’esprimere il concetto. Per questo motivo è stato coniato.

Tralasciando una lettura di carattere iconologico (per approfondimenti si legga E.Panofsky) proponiamo senza indugio quella di carattere figurale.
Immaginariamente vergini dalle quattrocentesche leggi di rappresentazione prospettica, tentiamo dunque di focalizzarci sull’immediatezza del testo, nel suo presentarsi tutto e subito. Non più segni grafici pregni di inchiostro, ma semiosi di eventi, ritmi, opacità, effetti di trasparenza e nitidezza. Di grande interesse visuale l’effetto della ripetizione costante, bandiera di un processo di significazione per l’appunto indelebile. Vogliamo comunque tentare un riferimento figurativo? Direi con ottime probabilità che qualcuno possa aver riunito le sette sfere del drago e che il cielo stia lentamente scurendo in attesa dell’arrivo del Drago Shenron.

«Esageriamo?»
«Esageriamo.»
La leggenda narra che fu questo lo scambio verbale tra il committente e l’artista di questo testo visivo del tutto inusuale.
Ci serve analizzarlo non tanto per la sua stravaganza, ma per la riflessione che stimola il tema insito nella sua essenza, che è quello dell’esagerazione, del troppo. Esagerare, dunque, comunemente sintomo di grossolana assenza di controllo, significa eccedere far qualcosa oltre il giusto, oltre il necessario. Tardo ottocentesco, a parer mio, è il culto dell’esagerato, propriamente caratterizzato dalla mostrazione dell’uomo che tutto può, bastando a se stesso. Ego smisurato di una cultura che ha portato a creare modelli di sussistenza non governati dall’essenzialità, ma dall’ostentazione di una ricchezza perlopiù materiale. Esagerare nei modi, nelle parole, nelle relazioni significa ad oggi avere un’occasione per essere notevolmente apprezzati dal consenso comune.
Obbligatoria la menzione di uno dei testi del noto rapper italiano Fabri Fibra, nel quale ci fornisce gentilmente un consiglio per, a detta sua, farcela: esagerate!

Il testo visivo preso in esame è il primo, tra quelli proposti, che non porta con se un’indicazione di tipo geografico. A cosa si deve tale scelta?
Così come non c’è bisogno di scrivere Nike per riconoscere il celebre baffo del marchio sportivo, non è necessario scrivere il nome della Serenissima, per riconoscerla nello splendore del sua massima carica monumentale: Piazza San Marco. Sebbene nascosta nel buio, nel fumo, nella turbolenta folla, è interessante vedere come questa non lasci decadere l’espressione del suo senso altro, di cui, da lunga tradizione storica, si fa portavoce.”

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