Raccontare storie, disegnare, costruire: nella mia ormai ottennale esperienza di padre questa è la “sacra triade” di attività che, con le mie figlie e con tutte le amichette e gli amichetti vari ed eventuali che appaiono al parchetto, funzionano sempre e non annoiano nessuno.
Col tempo evolvono le storie, si affina il segno, si complicano le strutture, ma è solo di fronte a una narrazione, a un foglio e dei colori o a un tavolo pieno di costruzioni che ho visto grandi e piccoli, assieme, vivere e condividere quel “giocare è una cosa seria” di cui parlava Munari.
Ma se raccontare e disegnare sono pratiche tipicamente umane, costruire è qualcosa di intrinseco alla natura. Dagli atomi che si legano tra loro agli animali che fanno il nido, dalle incredibili strutture dei cristalli ai “mattoncini” del DNA e ai numeri primi, i “mattoni” della matematica: l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande, l’organico e l’inorganico, il concreto e l’astratto sono un continuo assemblare, smontare e riassemblare.
Che succede, però, se davanti a un tavolo pieno di costruzioni ci metti chi di mestiere fa già quello di immaginare e progettare strutture?
Se lo sono chiesti l’art director Christiane Nill e il fotografo Lionel Henriod, entrambi di base in Svizzera, che per cinque anni hanno girato il loro paese per censire e documentare in maniera assai peculiare la ricchezza e la diversità della grande comunità creativa svizzera.
Il loro progetto, chiamato Let’s Play, ruotava proprio attorno alle costruzioni e si sviluppava seguendo poche, semplici regole: Nill e Herniod si portavano dietro il loro studio mobile, un tavolino con sopra 270 mattoncini in legno, coperti da un telo nero in modo da non rivelare cosa ci fosse; al designer o all’architetto di turno, dapprima fotografato su sfondo bianco, venivano poi dati 30 minuti per giocare coi mattoncini e realizzare qualcosa, con la possibilità di utilizzarli tutti oppure soltanto qualcuno, ma con l’obbligo di incorporarne tre usati dal designer precedente, in modo da creare una sorta di “filo” che connettesse tutto; la sua opera veniva poi immortalata e abbinata al ritratto.
Sono stati addirittura in 100 a prestarsi al gioco (in tutti i sensi), tra personaggi conosciuti a livello mondiale e creativi emergenti.
Il risultato è una serie di dittici che oltre a essere pubblicati sul sito di Let’s Play sono finiti anche in un affascinante libro che porta lo stesso titolo.