Il colore puoi affrontarlo da tutti i punti di vista. Il colore è una percezione, una lunghezza d’onda, un fenomeno di origine fisica che coinvolge sia la nostra struttura anatomica che quella psicologica — a partire dalla percezione stessa per arrivare alla costruzione di emozioni e ricordi. Il colore influenza ciò che mangiamo. Il colore è una traccia, un indizio che la morte lascia su un corpo. La storia del colore, in parte, è anche una storia della chimica, della geologia, della botanica, della sociologia. È intimamente intrecciata con guerre e conquiste, col colonialismo, con la propaganda, le caste, le rivoluzioni, il potere politico, economico e religioso. Il colore è un simbolo e anche un linguaggio, ramificato in un innumerevoli interpretazioni, spesso addirittura contraddittorie anche all’interno di una stessa cultura.
Un ipotetico libro sul colore che volesse abbracciarne ogni singolo aspetto — dalle particelle subatomiche alla recentissima (e assai puerile) “guerra” tra Anish Kapoor e Stuart Semple — avrebbe probabilmente tanti volumi quanti quelli di una grossa enciclopedia. L’unica soluzione, dunque, è iniziare da un punto di vista preciso, tracciare dei confini ben definiti e accontentarsi di dove si riesce ad arrivare.
Nel caso di Stella Paul, ricercatrice, curatrice ed educatrice del Metropolitan Museum of Art di New York, il punto di vista è quello della storia delle arte, che l’autrice ha utilizzato per raccontare — attraverso quasi 250 opere — una cronaca dell’origine e del significato dei colori (non tutti ovviamente, soltanto 10 tra i principali, e ne è comunque uscito fuori un volume di circa 300 pagine) a partire dall’arte preistorica per arrivare a quella contemporanea.
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