«Una sedia non è soltanto una sedia. […] E il tipo di sedia che scegli può dire tutto della persona e del suo mondo» spiegavano in un video dedicato al ruolo della sedia nel cinema e nelle serie tv.
Difatti — risponderebbe un poeta della seduta come Alessandro Mendini — «la sedia è uno degli elementi del design più connotati, più complessi e più significativi».
La sedia è il “pezzo” per eccellenza su cui sperimentare, quello in cui mostrare sia praticamente che idealmente le proprie idee su forme e materiali, la propria visione del mondo come progettista.
E non è un caso che tantissimi architetti si siano messi alla prova appunto con le sedie.

La vere domande, però, sono altre. E cioè: cosa ci dice, una sedia, dello stile e delle idee di un architetto? Si possono rintracciare dei parallelismi tra un progetto di una casa, una chiesa, un edificio pubblico, un museo, un grattacielo, e quello di uno strumento che fondamentalmente serve a una cosa soltanto, sedersi?
Cambiare medium rivoluziona tutto o si può rintracciare un certo fil rouge?
A rispondere a questi interrogativi arriva un libro uscito in agosto, pubblicato da Thames & Hudson e intitolato Chairs by Architects.
A cura della storica dell’arte Agata Toromanoff, il libro mette insieme sedie ed edifici di 55 architetti per dimostrare la tesi di partenza e cioè che sì, in effetti, col senno di poi il tocco, l’idea, la visione del progettista si vede benissimo in entrambe le tipologie di progetto.
Tra gli esempi raccolti in Chairs by Architects ci sono le opere di maestri del passato e del presente come Anton Gaudì, Otto Wagner, Gerrit Rietveld, Walter Gropius, Jean Prouvé, Frank Gehry, Gaetano Pesce, Oscar Niemeyer, Daniel Libeskind, Renzo Piano, Waro Kishi, Mario Botta, Santiago Calatrava, Doriana e Massimiliano Fuksas, Mario Bellini, Ron Arad, Piero Lissoni, Julien De Smedt e Zaha Hadid.



