L’influenza del Bauhaus nell’arte e nel design del Novecento — come pure nel modo di studiarli e insegnarli — è talmente grande, riconoscibile e capillare che sembra quasi impossibile anche soltanto immaginare che la scuola — fondata da Walter Gropius nel 1919 a Weimar, in Germania — restò in attività per appena poco più di un decennio.
Dopo due trasferimenti, uno a Dessau e uno — brevissimo — a Berlino, l’Istituto superiore di istruzione artistica Bauhaus chiuse infatti i battenti nel ’33, a causa della presa del potere da parte dei nazisti, che portò anche alla diaspora dei docenti, molti dei quali partirono alla volta degli Stati Uniti.
Quello che non molti sanno, però, riguarda lo strettissimo legame tra la scuola tedesca e la celeberrima e prestigiosa università di Harvard.
Furono appunto tre studenti di Harvard ad organizzare la prima e unica mostra negli Stati Uniti dedicata al Bauhaus — questo mentre l’istituto fondato da Gropius era ancora in attività (nel 1928). E sempre da Harvard arrivarono gli inviti e le sollecitazioni a molti dei docenti a spostarsi e continuare la loro attività oltreoceano.
Lo stesso Gropius arrivò nel Massachusetts nel ’37 e l’anno successivo diventò direttore della sezione architettura della Graduate School of Design di Harvard. A Cambridge, sede dell’università, fondò pure uno studio assieme al suo ex collega “bauhausiano” Marcel Breuer.
Non è un caso, dunque, che negli archivi della scuola americana sia conservata una delle più grandi collezioni dedicate al Bauhaus, e nelle scorse settimane quegli archivi — che comprendono oltre 30.000 pezzi — sono stati messi online, offrendo a chi visita la sezione The Bauhaus del sito dell’Harvard Art Museum una messe di materiali, alcuni dei quali visibili e scaricabili anche in una risoluzione accettabile, e catalogati per artista, per tema (tipografia, stampe e disegni, pittura e scultura, architettura, fotografia, mobili, tessile…), per tipologia di opera, per tecnica e supporto, per nazionalità.
Tra le “chicche”, anche una manciata di stampe di Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Giorgio De Chirico, Enrico Prampolini e Gino Severini.