Lanificio Feltrificio Gusmini: oltre un secolo di storia, all’insegna del Panno Lana

Ho deciso di intervistare Luca Gusmini, quinta generazione di produttori di Panno Lana in quel di Cene (Bg), perché da un po’ di tempo ho sviluppato un particolare interesse per le aziende storiche italiane, quelle che tra alti e bassi hanno saputo resistere e continuare a produrre, per decine, centinaia di anni.

A farmi il nome del Lanificio Feltrificio Gusmini, è Emilio Leo titolare del Lanificio Leo (altra azienda storica italiana di cui potete leggere qui), con cui i Gusmini hanno recentemente collaborato.

Durante l’intervista scopro che siamo stati noi a “farli incontrare”. Infatti Luca mi dice: «Ho conosciuto Emilio perché gli ho scritto dopo aver letto l’intervista che gli avete fatto voi di Frizzifrizzi».
Ma passiamo alla loro interessante storia.

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Luca ci racconti quando e come nasce l’azienda?

L’azienda fu fondata nel 1887 da Giacomo Gusmini, bisnonno di mio padre e di mio zio, attuali titolari, per cui io rappresento la quinta generazione.
La nostra è una storia familiare e molto legata al territorio. Questa zona era un polo tessile molto attivo già negli ultimi anni dell’Ottocento ed era nota per la produzione dei Panni Lana. Panni che noi continuiamo a produrre, mantenendone la tradizione, anche se negli anni ne sono cambiati gli utilizzi, le destinazioni d’uso.

Quindi avete iniziato producendo Panni Lana?

Sì, fin dall’inizio il Lanificio Gusmini si specializza nella produzione e commercio dei Panni Lana, prodotti tipici dell’epoca, tessuti a telaio e poi infeltriti con dei folloni a tamburo o a cilindro.
Tutto iniziò a Vertova, un paesino della Val Seriana, in provincia di Bergamo, ma poi ci siamo trasferiti a Cene, lasciando lì solo il reparto di orditura, dove si prepara il subbio per il telaio e un po’ di magazzino lane, mentre tutto il resto della produzione (tessitura, finissaggio, tintoria) si svolge a Cene.

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Ci spieghi che cosa è il Panno Lana?

L’effetto tattile del Panno Lana è quello della lana cotta, ma non lo è, perché quest’ultima è lavorata a maglia e poi infeltrita.
I Panni Lana invece sono tessuti a telaio e poi successivamente infeltriti. Rispetto alle coperte, il Panno Lana è molto più pesante e molto più chiuso, fitto e con meno pelo.
Nell’Ottocento veniva utilizzato da pastori e contadini per coprirsi, per il suo grande potere di mantenere la temperatura corporea e di schermare l’acqua. Le tessitura era così fitta (grazie al processo di infeltrimento) che il panno diventava impermeabile e l’acqua scivolava. I pastori e i contadini ci portavano le lane (lane non molto pregiate di pecore bergamasche) perché noi realizzassimo i panni e li utilizzavano quindi perlopiù per dar vita a mantelli, che poi usavano per fare la transumanza e per andare al pascolo.

Esiste ancora una produzione del genere?

Qui da noi sono rimasti ancora dei siti lanieri, che realizzano questi panni, anche se ora per la produzione vengono utilizzate lane molto più fini, molto più pregiate (non più quella delle pecore bergamasche, che del resto sono quasi del tutto scomparse) ma la tradizione resta ancora molto radicata.

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Torniamo alla vostra storia.
Almeno all’inizio, quindi, la vostra produzione era realizzata con la lana di pecore locali?

Sì, la lana non arrivava ancora via mare, si utilizzava la lana raccolta in zona.
I contadini venivano, ci consegnavano la lana, che qui da noi veniva follata e tessuta, e poi ci pagavano la lavorazione. Già qualche anno dopo però abbiamo iniziato a comprare da fuori, soprattutto lana di gentile di Puglia e lana veneta.
La gentile di Puglia era la migliore qualità di lana italiana, l’unica che valeva (e forse varrebbe ancora) la pena di essere filata, perché nasceva da un incrocio tra la merinos e le pecore locali pugliesi.
E la merinos (una pecora che ha origini spagnole) è la lana migliore anche adesso, anche se, per paradosso, oggi le produzioni più pregiate (per qualità e proprietà della lana) arrivano da pecore allevate in Australia o in Nuova Zelanda, dove hanno trovato pascoli verdi e lussureggianti, che ne hanno migliorato ancora di più le qualità.

39AU0008E le lane delle pecore italiane?

Le altre lane italiane (esempio quella sarda) sono state utilizzate per la filatura solo durante il ventennio fascista, ma solo perché c’erano divieti e restrizioni all’importazione. Si doveva essere autosufficienti.

Quindi che lana lavorate?

La lana ovviamente non è italiana, anche perché con quella non riusciremmo mai ad ottenere la qualità che si cerca oggi. Noi compriamo merinos da Sud Africa, Australia e Nuova Zelanda ma da quando la lana arriva qui in Italia, tutta la produzione è effettuata da noi ed eseguita secondo le nostre indicazioni.

Visto che non viene utilizzata nel tessile, perché è poco pregiata, che fine fa la lana delle pecore italiane?

La lana italiana deve essere smaltita come rifiuto speciale perché in pratica non ha più quasi nessun utilizzo nel tessile: viene usata in alcuni settori dell’edilizia come materiale per la coibentazione.
Qui da noi in Val Seriana, anzi in Val Gandino, è rimasto uno degli ultimi lavaggi lanieri in Italia. L’azienda, che si chiama Manifattura Ariete, ha realizzato un interessante progetto qui sul territorio, che ha avuto dei buoni riscontri.
In pratica ritira la lana dai pastori — lana che altrimenti dovrebbe essere smaltita — poi la lava e dà vita a PolarWool, un prodotto usato per insonorizzare e coibentare (viene messo sotto i tetti).

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Quindi è impossibile pensare di utilizzare in qualche modo la lana italiana?

Sì, e comunque, non riusciremmo neanche a soddisfare la richiesta laniera italiana con la sola produzione nazionale, anche se fosse una produzione di qualità. Anche se si recuperasse ad esempio l’allevamento della gentile di Puglia o qualche altra specie in Veneto, che hanno una lana di buona qualità, non si riuscirebbe mai e poi mai a soddisfare la richiesta laniera. Resterebbe una produzione di nicchia, sarebbe un modo per salvare dall’estinzione una specie, ma non una soluzione. Come ettari di terra dedicati all’allevamento non sarebbe fattibile.

Hai detto che in Italia i lavaggi lanieri sono comparsi, o quasi. Quindi i lavaggi dove vengono fatti?

Stanno scomparendo quasi tutti perché la lana viene lavata lì dove viene prodotta per motivi logistici ma anche per motivi legati all’inquinamento. I lavaggi lanieri utilizzano degli olî minerali che sono molto difficili da smaltire e le normative italiane (ed europee) sulle acque sono molto rigide, cambiano di continuo, quindi diventa sempre più difficile, anche rispettando tutte le regole, stare sul mercato.
Che poi è pazzesco perché per noi tutti ormai l’importante è non inquinare a casa nostra, poco ci importa di come si esegue il lavaggio nei paesi di produzione dove semmai i controlli sono meno stretti…

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Per i Panni Lana si utilizza solo lana merinos o si possono utilizzare anche altri filati?

Noi ci stiamo allargando anche ad altri filati, tipo alpaca o cachemire, ma il problema di fondo è che con quei filati è molto difficile controllare il ciclo di produzione a monte. Bisogna stare ben attenti a dove si va ad acquistare, al tipo di allevamento. Ci sono allevamenti cruenti e crudeli nei confronti degli animali, soprattutto nel periodo della tosatura, e noi da quelli non vogliamo comprare!
Vogliamo essere sicuri che la produzione etica inizi a monte.

Come si fa a controllare tutto il ciclo, partendo dall’allevamento e da come si svolge la tosatura?

Siamo rimasti sempre un’azienda di piccole dimensioni e questo ci dà la possibilità di controllare cose che altrimenti sarebbe impossibile controllare. Ed è per questo che noi non compriamo mai il filato bensì la lana, direttamente nel paese di produzione, così siamo sicuri di ciò che abbiamo comprato, di come viene ottenuto, della sua qualità.
Tieni presente una cosa: una volta filato è molto più difficile controllare la qualità. con la filatura è più facile camuffare i difetti del pelo.

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Tutto questo avrà dei costi.

Certo, ovviamente li ha. Ed è anche questo il motivo per cui abbiamo dei prezzi abbastanza alti rispetto ai concorrenti, perché cerchiamo di fare tutte le fasi in un certo modo e se lavori in un certo modo non riesci a mettere sul mercato a prezzi stracciati.
Quando vedo un maglione di cachemire a 50 Euro mi viene da pensare sempre come sia possibile. Mi chiedo come sia stato prodotto.
Questo forse ci ha limitato, da un certo punto di vista, non ci ha fatti crescere, non possiamo fare produzioni di massa, ma — a dire il vero — non è questo ciò che vogliamo e sappiamo fare.

Il mercato però pare comunque premiarvi?

Per fortuna, a partire dal settore agroalimentare, il come è realizzato un prodotto è sempre più al centro dell’attenzione di chi lo acquista. Al di là del risultato finale, ai consumatori interessa sempre di più sapere come è stato lavorato, che sia fatto in modo etico, che non impatti sulla salute e sull’ambiente, che siano stati rispettati i lavoratori.

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Credi che sia una ricetta estendibile?

Sì, non credo che abbiamo altra scelta in quanto a politica industriale. Possiamo e dobbiamo fare solo qualità. Per i grandi quantitativi (di scarsa qualità) non siamo competitivi rispetto per esempio a Turchia, India, Cina…

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Torniamo alle fasi della lavorazione. A parte la lana, che come ci hai raccontato arriva da Sud Africa, dall’Australia e dalla Nuova Zelanda, dove realizzate tutto il ciclo di produzione?

Circa 15 anni fa abbiamo chiuso la filatura perché, purtroppo, il costo di produzione per noi non era più sostenibile, ma continuiamo ad acquistare la lana e poi la facciamo filare da aziende che si trovano qui, sul nostro territorio.
La nostra fortuna è che, nonostante tutto, la Val Seriana resta un distretto tessile attivo. Accanto a noi abbiamo la filatura e a poche centinaia di metri la tessitura del jacquard.
Dall’arrivo della lana la filiera resta tutta in zona, quindi anche se non facciamo noi direttamente la filatura è comunque fatta qui, secondo le nostre indicazioni.

Che succede dopo la filatura?

Una volta filata siamo noi a realizzare la tessitura, il finissaggio e la tintoria. Quindi praticamente tutto il ciclo è fatto in azienda: una lavorazione molto “casalinga” di cui possiamo controllare ogni fase.

Fate voi anche la tintura?

Sì, fatta eccezione per il jacquard, che è tinto in filo da un’azienda qui vicino a noi. Ormai tingiamo esclusivamente in pezza, sul finito, perché le quantità di produzione sono calate e, invece, sono aumentati i colori che si devono realizzare. Quindi è più conveniente tingere la pezza. Prima invece si tingeva in massa.

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Parliamo dei vostri prodotti.

Come ti dicevo, siamo da sempre specializzati nella produzione di Panni Lana e questi sono utilizzati in numerosi settori dell’industria.

Ci fai qualche esempio?

Nel settore alimentare, ad esempio, siamo entrati agli inizi degli anni ’90, quando abbiamo rilevato il Feltrificio Veneto, che già operava in questo ambito, producendo dei manicotti tubolari, che sono montati su delle macchine per la produzione di pane. In pratica questi manicotti fanno da nastro trasportatore per il pane.
Il panettiere (o anche la grande distribuzione) appoggia la pasta di pane sui manicotti tubolari, e questi ruotando — uno in direzione opposta all’altro — danno la forma. Sono usati soprattutto in Francia per la produzione delle baguette.

Non sapevo neanche che esistessero!

Siamo in pochi al mondo a poter produrre questi manicotti, noi lo facciamo degli antichi telai a navetta, che danno la possibilità di realizzare tessiture tubolari (con i telai moderni la cosa non è realizzabile, si dovrebbe cucire da un lato).
Questi telai ormai ovviamente non si producono più e comunque in pochi li sanno ormai utilizzare ed eventualmente riparare. E vista la longevità necessitano di riparazioni costanti, che noi per fortuna riusciamo a fare in azienda, grazie alle capacità meccaniche dei nostri manutentori, che continuamente compiono operazioni tra la meccanica e l’archeologia industriale.

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Quali sono i mercati per questa produzione? Dove vendete?

I mercati principali per l’alimentare sono la Francia e la Germania, ma anche l’oriente e la Russia.
Anche se ora, soprattutto negli Stati Uniti, ma anche in Germania, che per noi costituisce comunque un mercato molto importante, si sta diffondendo la tendenza ad utilizzare il nylon o poliestere o altri sintetici.
Per nostra fortuna, però, la pasta di pane sulla lana non si attacca e ha dei vantaggi in termini di lievitazione. Quindi sono molto richieste in questo settore, nonostante siano produzioni abbastanza costose rispetto ai sintetici, di difficile produzione e anche reperimento, perché siamo in pochi quelli in grado di realizzarli.

In che altri settori industriali vengono utilizzati i vostri Panni Lana?

Le nostre lavorazioni vengono utilizzate anche per la produzione di strumenti musicali, soprattutto pianoforti. Facciamo il Key Rail (pesante ca. 2200g/mq) che si trova sotto i tasti del piano, e l’Hammer Rest, che è invece più morbido e si trova invece sotto i martelletti.
Oltre allo spessore, questi panni devono avere determinati colori, dettati dalla tradizione musicale.
Questa è una produzione che continuiamo a fare e che ci dà soddisfazioni e, anche in questo caso, per fortuna i nuovi materiali sintetici non sono riusciti a sostituire la lana, le cui caratteristiche tecniche di insonorizzazione la rendono perfetta per questo utilizzo.

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Ho letto che avete anche realizzato vele storiche e un po’ stupita mi chiedevo: vele di lana?

No, non di lana! Due anni fa ci è stato chiesto di tessere le vele per l’Amerigo Vespucci. 13.000 metri di tela di lino, che abbiamo tessuto noi perché volevano mantenere le vele tessute a navetta, come si faceva ai primi del ‘900.
Noi le abbiamo tessute e poi sono state cucite a mano, con guanti e vecchi aghi.

E io che pensavo che la vostra produzione fosse diretta tutta al mondo della moda e del design…

[Ride, ndr] In verità il 70-75% della nostra nostra produzione è indirizzata all’industria.
Per esempio produciamo anche i Panni Lana che vengono utilizzati in vari altri settori del tessile e meccanotessile, per certi particolari delle filature e dei telai per cui si richiedono Panni Lana.

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E la moda?

La moda, il design — quello che noi chiamiamo “La Poesia” — occupa circa il 30% della nostra produzione.
Per l’arredamento ad esempio produciamo Panni Lana di diversi spessori, che vengono usati o per tappeti o per coperture di mobili, sedute, pareti.
Anche questo settore ci regala grandi soddisfazioni: negli anni abbiamo intrapreso collaborazioni con importanti aziende. E anche se il mercato ha registrato un po’ di perdite noi riusciamo ancora a collocarci bene ed a vendere, forse perché i nostri prodotti sono molto belli e fatti molto bene, e pur avendo costi elevati (che si giustificano per le modalità con cui sono prodotti) rappresentano una nicchia.

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Avete una vostra linea?

Non abbiamo una linea nostra, ma sviluppiamo il progetto insieme ai designer e poi produciamo.
Abbiamo realizzato anche tessuti per cappotti, non solo in lana ma anche in cachemire, frutto di collaborazione con alcuni designer.

In questo caso qual è il mercato di riferimento?

Quasi tutte le collaborazioni nascono con designer italiani. Mentre sulla parte di produzione tecnica, cioè diretta all’industria, siamo conosciuti e ricercati anche all’estero, per la produzione relativa alla moda lavoriamo prevalentemente con l’Italia.

Come te lo spieghi?

Rispetto a grandi aziende straniere (inglesi o belghe) noi non riusciamo a essere competitivi in fatto di prezzi. Producendo tutto qui, il nostro resta un po’ alto e quindi meno allettante per il settore abbigliamento o arredamento. Anche se devo dire che negli ultimi anni ho visto una contro-tendenza. Sono sempre di più quelli che vanno alla ricerca della qualità della produzione, e anche dell’italianità, che con aziende medio piccole come la nostra è facilmente verificabile.
Abbiamo avuto clienti, che sono voluti venire in azienda ed hanno realizzato dei video delle nostre macchine (navetta e folloni) mentre lavoravano, per poi mostrare al loro cliente finale in che modo era realizzata la produzione e che si trattava veramente di produzione italiana.

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