Working Mom: un piccolo documentario mostra la vita quotidiana di una mamma lavoratrice

L’ultimo numero di IL, il pluripremiato mensile de Il Sole 24 Ore diretto da Christian Rocca, ha dedicato la storia di copertina ai “genitori moderni”, pubblicando una serie di interventi sul tema che, perlomeno tra i miei contatti (molti dei quali, come me, appartenenti alla categoria della cover story e quotidianamente alle prese con le gioie e i dolori della paternità e della maternità, perennemente in cerca di quella chimera chiamata “equilibrio”: equilibrio tra famiglia e lavoro, equilibrio tra educazione autoritaria e permissiva, equilibrio tra i bisogni di mamma e papà e quelli dei figli…), ha scatenato una selva di commenti.

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Quel che ne è uscito fuori (e ribadisco che parlo solo e soltanto di quel che ho letto su Facebook sui profili di gente che conosco) non è tanto la sacrosanta e prevedibile differenza di vedute tra chi prova a seguire un modello educativo piuttosto che un altro, quanto invece—in maniera altrettanto prevedibile e sacrosanta—il totale distacco, di chi figli non ne ha, da quella che poi è la realtà vissuta giorno per giorno dalle famiglie con pargoli. E questo soprattutto per quanto riguarda il carico di lavoro che devono sopportare le mamme, anche in quelle coppie in cui si prova a raggiungere un’effettiva parità dei ruoli, “smezzando 50/50” quante più attività possibili: pappe, uscite al parco, ninne-nanne, vestimenti mattutini e svestimenti serali (prima di diventare padre non avevo la minima idea di quanto lunga e frustrante e spacca-nervi potesse essere una cosa ordinaria come lo spogliarsi e mettere il pigiama).

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Il fatto è che, appunto, finché non ti ci trovi in mezzo (e già “trovarcisi in mezzo” può avere mille e mille sfumature) quasi sempre tendi a considerare i massimi sistemi, il “macro”, i valori, i modelli, ti illudi di poter affrontare la genitorialità come fosse un progetto di lavoro—complicato, e con un continuo bisogno di aggiustamenti, ma fattibile.

In realtà poi ti accorgi (e quando ci sei dentro e te ne rendi conto non è una consapevolezza che in qualche modo alleggerisce la vita: semplicemente lo sai) che sono le piccole cose quelle che ti spezzano la schiena e logorano l’animo. Sono il mettere una scarpina quando lei o lui non vuole saperne ma tu hai fretta perché sei già in ritardo per un appuntamento. Sono il fare in modo che non ci metta 35 minuti a lavarsi i denti. Sono il riuscire a cucinare qualcosa anche quando ne hai due attaccati alle gambe con l’unico, gigantesco e insopprimibile bisogno di averti lì, col corpo e con la mente, quando invece il resto del mondo va avanti e ti inonda di mail, di messaggi su Whatsapp e di chiamate per cose urgentissime e improrogabili.

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Le piccole cose, d’altra parte, sono anche le più belle. Quelle che inaspettatamente risolvono una giornata di merda. Quelle che per cui, quando sotto sotto ti chiedi «ma chi me l’ha fatto fare?», ti danno la risposta, chiara e cristallina: non te l’ha fatto fare nessuno (di solito) ma non hai mai avuto niente di più bello, e non sei mai stato così importante per un essere umano così come lo sei per tuo figlio o tua figlia. Quelle che poi vai a cercarti nell’archivio dei ricordi (o più concretamente tra le foto e i video che hai salvato nell’hard disk) per provare a riviverle almeno per un attimo.

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Le piccole cose—croce e delizia—sono anche le protagoniste di questo splendido, piccolo documentario intitolato Working mom e diretto dal filmmaker canadese Daniel Wilner, che racconta due giornate di una mamma che lavora, alle prese coi suoi due figli mentre il compagno è fuori per due settimane, e mostra meglio di quanto ho scritto finora com’è, quant’è difficile, quant’è straordinario.

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