Ben più che un mero mezzo di trasporto, un passatempo, un modo per mettersi in mostra, il surf è stato capace di trascendere i confini della disciplina sportiva e di diventare una vera e propria subcultura—seppur in continua evoluzione—con un suo immaginario, una sua estetica, un sound, le sue leggende, i suoi totem, un pantheon di miti assoluti, ed ha attraversato gli ultimi tre secoli di storia a cavallo di un’onda che ancora non è andata a infrangersi sulla riva.
E non è un caso quindi se a curare questo gigantesco volume di quasi 600 pagine, edito dall’editore tedesco Taschen e intitolato semplicemente Surfing, sia stato un antropologo, Jim Heimann, che oltre ad aver messo la firma su decine di libri sulla cultura pop, è anche uno storico del graphic design e grande collezionista di cimeli di ogni tipo.
Frutto di una lunga e paziente ricerca d’archivio, che ha portato alla luce documenti, foto, manifesti e cataloghi, il libro comincia a raccontare la storia del surf partendo dalla fine del Settecento, periodo cui risalgono le prime testimonianze occidentali dell’arte hawaiana del heʻe nalu (cioè scivolare sulle onde) a opera del capitano James Cook, per arrivare fino ai giorni nostri, raccogliendo materiale raro o inedito, saggi di giornalisti specializzati e un’infinità di immagini, tra tavole, spiagge, personaggi, poster, illustrazioni ma anche capi d’abbigliamento.