L’espressione “essere un libro chiuso” indica una persona (o un argomento) imperscrutabile, oscura, impenetrabile. Paradossalmente, però, immaginandolo come una sorta di “gatto di Schrödinger” con una prima e una quarta di copertina, finché non lo apri e non lo leggi, dentro a un libro potrebbe esserci tutto il contrario di tutto. Potrebbe essere vuoto. Potrebbe indicare Moby Dick sulla costola e sul fronte ma poi ospitare i deliri di un pazzo, le storie piccanti di una casalinga frustrata, le risposte ai misteri della vita, il linguaggio segreto della natura.
Un libro, aperto o chiuso, è qualcosa di vivo, e la dimostrazione ce l’hai trovandoti davanti a un progetto come The real story of a tree, che ho avuto modo di vedere nel fine settimana appena passato, qui a Bologna, durante la Fruit Exhibition.
Ideato e realizzato da Giovanni De Gara, artista visivo, e Luca Camiletti, che viene dalle arti sceniche e ha lavorato per 25 anni nel mondo del teatro, The real story of a tree prevede il recupero di legno usato, proveniente ad esempio dai bancali usati per il trasporto di materiali, dai vecchi banchi di scuola o dai mobili abbandonati accanto ai cassonetti della spazzatura.
Se non può essere considerato tecnicamente un ready-made, ci assomiglia molto.
«Il nostro intervento è minimo», mi ha raccontato Luca, «facciamo solo un’operazione di taglio per ottenere le proporzioni che ci interessano, poi procediamo alla stondatura di quella che dovrebbe essere la costola del libro e infine mettiamo il titolo, che può essere in italiano, in inglese ma anche in altre lingue».
Il titolo, che è poi il nome (o la traduzione) del progetto stesso, a volte viene impresso a caldo, senza colore, utilizzando la stessa macchina che si usa per marchiare la pelle, oppure l’impressione viene fatta a temperature minori, utilizzando poi l’inchiostro per colorare la scritta, mentre per superfici come quelle dei banchi di scuola o dei supporti delle macchine da cucire, si usa il laser.
Ciascun pezzo ovviamente è unico e, come mi ha spiegato Luca, «tutto quello che fa parte della “storia” del legno, quindi segni, imperfezioni, graffi, buchi e sporcizia, viene mantenuto». La storia del legno entra quindi a far parte della storia del libro e in qualche modo anche del “romanzo” immaginario che c’è dentro.
I libri non nascono per un uso specifico: come utilizzarli sta poi a chi li acquista (per farlo puoi contattare Giovanni De Gara). A me viene in mente che potrebbero essere dei perfetti ferma-libri, andando quindi a sorvegliare i loro cugini di carta. Luca, ridendo, mi ha suggerito che anche come poggia-moka sono perfetti ma che i suoi figli li usano per costruire castelli.
Allo stesso modo, come per tutte le idee semplici e chiare, il livello di lettura può cambiare da contesto a contesto. Ancora Luca, ridendo, mi ha raccontato di aver fatto dei laboratori nelle scuole primarie, dove i bambini hanno immediatamente avuto un rapporto molto diretto e naturale coi libri di legno ma che «nei contesti relativi all’arte contemporanea invece il discorso—nel bene e nel male—si complica sempre».