Chi studia grafica sa che una delle prime regole per realizzare un buon logo è far sì che questo mantenga la sua riconoscibilità anche riducendone drasticamente le dimensioni (e uno degli esempi più riusciti e più citati, in questo caso, è il “baffo” di Nike).
Il designer coreano Jung Soo Park, di base a New York, dimostra però che il principio può valere anche per i prodotti industriali, perlomeno per quelli ormai entrati nella storia dell’industrial design e diventati vere e proprie icone, come la bottiglia della Coca-Cola, il maggiolino Volkswagen, la moka Bialetti, il walkman Sony, la bottiglietta della salsa di soia Kikkoman, la lampada Arco di Castiglioni, il mattoncino Lego, il primo iPod… tutti quanti capaci di “reggere” benissimo la riduzione a un mucchietto di pixel e capaci (almeno la maggior parte di essi) di esser riconosciuti al primo sguardo anche da chi non designer non è.
Park, che ha chiamato il suo progetto Museum of Pixelated Industrial Design, ha cominciato meno di un mese fa postando lo spremiagrumi di Philippe Starck—quello che sembra un ragno alieno o un razzo spaziale e che pare funzioni pure male—sul suo account Instagram @jung_soo_park e sta tuttora andando avanti a cadenza praticamente quotidiana (tra l’altro immagino che non ci vorrà molto prima di vedere nel museo di Park anche la Vespa, la 500, la Olivetti Valentine, la penna Bic, la Polaroid, ecc. ecc.).