dalla mostra “Flanerì di carta”, a cura di Elisa Talentino e Inuit, in collaborazione con BBB15 (foto: Frizzifrizzi)

BBB15 | Flanerì di carta

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Fino all’800 flâneur era sinonimo di perditempo, nell’accezione negativa del termine.
Fu poi Baudelaire a ”dirottare“ il dizionario francese verso un uso ben più poetico del termine, che da allora sta ad indicare un ben preciso e consapevole atteggiamento nei confronti del mondo, uno stile di vita da “osservatore urbano”, un perdersi—come ho già scritto qualche tempo fa—come atto estetico e politico.

E proprio da Baudelaire è nato il primo input per un workshop—Flanerì di carta—organizzato da Elisa Talentino e Inuit gli scorsi 14/15 novembre e “dedicato a gentiluomini e gentildonne che desiderano perdersi nelle vie dell’illustrazione e della stampa”, i cui risultati sono stati poi esposti (e lo saranno fino al 22 novembre) presso 9mq, co-working/officina creativa in centro a Bologna.

«Un giorno ero a Strasburgo e ho visto a una finestra un signore seduto a fumare. Però era seduto sul davanzale, coi piedi di fuori, al secondo piano. Una cosa pericolosissima ma lui se ne stava lì beatamente, come niente fosse, con una serenità incredibile. L’ho visto solo perché me ne stavo girando un po’ a caso, guardando per aria», mi ha raccontato Elisa la sera dell’inaugurazione, in mezzo alle opere “partorite” durante le due intense giornate di laboratorio, «e ho chiesto ai ragazzi che partecipavano al laboratorio di assumere un atteggiamento simile».

dalla mostra “Flanerì di carta”, a cura di Elisa Talentino e Inuit, in collaborazione con BBB15 (foto Frizzifrizzi)
dalla mostra “Flanerì di carta”, a cura di Elisa Talentino e Inuit, in collaborazione con BBB15
(foto Frizzifrizzi)

Se in una città non dovesse esserci il raziocinio, se la città non dovesse avere una funzione, che cosa ti aspetteresti di vederci, che cosa desidereresti vederci?
È a partire da questo semplice interrogativo che i partecipanti—in tutto 12, perlopiù studenti dell’Accademia e dell’Isia, ma c’era anche chi non lavorava nel mondo dell’illustrazione—hanno incominciato prima a immaginare, fissando l’attenzione sui dettagli, guardando in alto invece di guardare per terra, come capita di solito a chi è preso solo dai suoi pensieri o smarrito dentro allo schermo di uno smartphone, lasciandosi trasportare dallo “scorrere” della città e delle situazioni, per poi mettersi a disegnare il frutto di quella ricerca.

«Ho consigliato di scovare dettagli nascosti, di giocare coi nomi, con le vie… Per esempio venendo qua io ho trovato “via del pallore” e ho pensato che fosse una cosa meravigliosa: avrei saputo esattamente cosa disegnarci! E poi di anagrammare, magari di utilizzare pure le scritte sui muri, comprese quelle becere tipo “Juve merda” o “Laura ti amo”», mi ha spiegato Elisa, mentre gli sguardi di chi entrava e usciva dalla sala della mostra si posavano sulle due torri che diventavano due cappelli da asino [per chi non conoscesse i simboli di Bologna: la più alta delle due si chiama “Torre degli asinelli”] o sull’anagramma di “portico”, che molto poeticamente diventa “ti copro”.

Il livello delle opere—come pure confermato dall’artista torinese (che, giusto per cronaca, dopo “via del pallore” ha trovato “via calori”…)—era molto alto, e tutti i lavori sono stati stampati in risograph, a due colori (si poteva scegliere tra blu, rosso, rosa e verde) da Marco Tavernesi di Inuit, che ha coinvolto tutti i partecipanti anche in questa fase della produzione delle stampe, esponendo poi pure le varie prove di stampa.

dalla mostra “Flanerì di carta”, a cura di Elisa Talentino e Inuit, in collaborazione con BBB15 (foto: Frizzifrizzi)
dalla mostra “Flanerì di carta”, a cura di Elisa Talentino e Inuit, in collaborazione con BBB15
(foto: Frizzifrizzi)
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