È uno dei riti di fine estate, perlomeno dalle mie parti. Ti sdrai sulla collinetta, in mezzo all’erba, accanto a una vecchia chiesetta diroccata, a guardare i fuochi d’artificio che partono da lì sotto, sparati verso il cielo, mentre silenziosamente provi ad avvicinarti spalla a spalla alla ragazzina accanto a te, la tua pelle d’oca sulla sua, o te ne stai con la famiglia sull’asciugamano, coi figli che continuano coi loro “perché? perché? perché?” finche il primo sparo, la prima cascata di scintille che illumina la notte, non li ammutolisce, mentre l’eco risale su tra i campi dov’è stato appena battuto il grano e rimbalza in tutta la valle tanto che sembra che il rumore arrivi da chissà dove, persino dal mare — perlomeno quel pezzetto che si vede da lì —, persino dalla luna.
Per quanto possa essere trucida, provinciale, malfrequentata o, al contrario, insostenibilmente zuccherosa, lucida, modaiola e impomatata la festa esclusiva oppure la sagra paesana che fa da cornice ai “botti”, quand’è il momento dei fuochi d’artificio alziamo tutti il naso al cielo, attratti come falene dalle luci che danzano nell’aria e vagamente in allarme per la deflagrazione della polvere da sparo.
Bellezza e violenza: una magia, questa, che mette in moto il cosiddetto “cervello antico”, là dove vivono le sensazioni profonde, dove vive la paura, la fascinazione, il conflitto, la memoria emozionale.
Su un dualismo così potente ha giocato anche come Takeshi Kitano (a sua volta personaggio che più “multiplo” non si può: star della tv demenziale giapponese e acclamatissimo regista cinematografico, oltre che attore, scrittore, pittore…) che col suo capolavoro Hana-Bi, che letteralmente significa “fuori di fuoco” e sta ad indicare proprio i fuochi d’artificio, ha usato questi ultimi come metafora per una storia in cui violenza e tenerezza — ma anche comicità — sono esasperate fino a limiti massimi.
Ora, come portare quest’ambivalenza dentro a una collezione che è anche una visione del mondo (tenerezza e violenza, con l’ironia a fare da legante)? Emiliano Laszlo, fondatore e designer di Studiopretzel, da sempre affascinato da linee e materiali dei costumi del Giappone antico e di quelli della moda nipponica contemporanea, ha deciso di ispirarsi appunto al film di Kitano, partendo da un capo che aveva già realizzato — in forma di prototipo — circa tre anni fa (Emiliano me lo mostrò per la prima volta a un Pitti del 2012) e che all’epoca definimmo io come una “giacca a fiocchetti” e lui (che a quanto pare aveva già le idee chiare) come “florilegio”.
Rosso, come il sangue. Bianco, come i fiori.
«Il concetto di fuoco artificiale che diventa fiore e che a sua volta diventa proiettile è alla base della collezione», spiega il designer nel comunicato che accompagna la sua collezione primavera/estate 2016, intitolata ovviamente Hana Bi. «Il capo più forte, dunque, sarà il completo da uomo formale (giacca e pantalone), realizzato in denim e ricamato all-over con ciuffi di cotone colorato che escono all’esterno, ora rossi a ricordare i colpi di proiettile e il sangue, ora bianchi a ricordare il ciliegio in fiore.
Non solo fuochi d’artificio, però, perché il resto della collezione è uno splendido viaggio tra oriente e occidente, tra ascetismo e rigore militare, workwear e richiami pop.
E se prima si parlava di violenza, questa rimane solo a livello concettuale perché Studiopretzel è un convinto sostenitore della campagna Animal Free della LAV, la Lega Anti Vivisezione, impegnandosi a non usare alcun materiale di origine animale, collaborando invece — almeno per quanto riguarda il Denim — con Berto Industria Tessile, azienda che attraverso il progetto Berto4YoungTalens supporta tutta una serie di giovani designer e piccoli marchi, tra cui Studiopretzel.