Sono partiti dal tamarindo e sono arrivati ai cannelli di zolfo, rimedio popolare genovese perlopiù sconosciuto fuori regione. Ma sul loro negozio online — che hanno lanciato in queste settimane e hanno battezzato con l’irresistibile e azzeccato nome di Fattobene — trovi anche la mitica Coccoina, l’altrettanto mitico Crystal Ball (che a dispetto del nome è italianissimo), l’immortale sapone Reseda, la brillantina Linetti, un pezzo di “design anonimo” come il tagliere per rigare gli gnocchi…
Insomma — l’avrai capito! — Fattobene è dedicato a tutti quei prodotti che esistono a volte da generazioni ma che sono stati dimenticati, o sono sconosciuti al di fuori del loro territorio di produzione, o magari sono stati riscoperti solo di recente.
Oltre a venderli, e dunque farli scoprire a chi ancora non li conosce, il sito ha anche il merito di raccontarne la storia, a volte ingarbugliata, altre volte semplice, altre volte ancora piuttosto misteriosa: comunque sempre interessante.
Ma la vera chicca sono i “consigli di lettura” associati a molti dei prodotti in vendita, per ora 12 ma che presto aumenteranno.
Dietro al progetto sono in due: Anna Lagorio, che fa la giornalista freelance e collabora con testate come Il sole 24 ore, D la Repubblica delle donne e Wired, e il suo compagno Alex Carnevali, che invece è un fotografo e lavora anche in teatro come direttore di scena.
Anna e Alex hanno avuto l’idea anni fa, durante un viaggio al sud, e per saperne di più mi sono fatto raccontare da lei com’è nato tutto.
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Quando mi hai scritto la mail mi hai già accennato che il progetto è nato dopo un viaggio in Calabria e Basilicata col tuo compagno, iniziando a raccogliere oggetti “quotidiani”.
Il progetto è nato durante un viaggio a sud. In particolare, la scintilla è scattata un giorno mentre eravamo in un bar in Calabria e degli amici ci hanno fatto scoprire la Brasilena: mi è piaciuto molto il packaging e mi ha colpito il fatto che fosse praticamente sconosciuta al di fuori della regione. Da quel momento, ho iniziato ad andare alla ricerca di storie di oggetti, con un interesse particolare per quelli di tradizione contadina (bellissimi esempi di design essenziale, alla Jasper Morrison): in Basilicata ho trovato un piccolo paradiso di cucchiai, cesti, panieri, tessuti.
Buonissima la Brasilena! Che chiedo sempre alla mia socia Francesca, che è calabrese, quando torna a casa.
La mia indagine si è mossa su un doppio binario: da una parte oggetti senza tempo, dall’altra prodotti industriali poco noti realizzati nello stesso modo da generazioni.
Fattobene è nato dal desiderio di dare una casa a tutta questa produzione italiana sommersa: credo che oggi ci sia bisogno di ripensare al modo di progettare, lavorare per sensibilizzare le persone che hanno dimenticato come sono le cose “fatte bene”.
E da lì come siete arrivati a lanciare un negozio online?
Il negozio rappresenta la fase operativa del progetto: il nostro desiderio è diventare un punto di riferimento per consumatori curiosi. L’idea è di offrire una selezione ampia e fluida, capace di passare dal macinino da caffè (sì, esiste sempre!) ai saponi art deco, ai giochi per bambini (sai che in Italia c’è una piccola azienda che produce girandole dagli anni ’20?).
In questo periodo in cui tutti parlano di made in italy, credo che la risposta non sia tanto quella di arroccarsi su posizioni di nazionalismo, quanto quella di indagare, cercare e promuovere un racconto fresco e positivo del paese.
Le aziende stanno rispondendo con entusiasmo e molte di loro ci hanno già contattato per chiederci come possono entrare a far parte della nostra selezione.
Immagino ci sia una grande ricerca, dietro, essendo appunto molti dei prodotti poco conosciuti.
La ricerca è il cuore del progetto. Penso che la cosa più interessante sia proprio quella di far emergere un ritratto di ogni regione attraverso oggetti apparentemente banali o surreali o pop.
L’anno scorso in Sardegna ho conosciuto delle tessitrici di tessuti antichi che sembrano quadri optical… In realtà, sai a cosa servono? Per fare le bisacce per gli asini!
Fate tutto tu ed Alex o avete degli “informatori”?
La ricerca nasce dal mio desiderio di curiosare, di chiacchierare con le persone e dal mio occhio innamorato di cose del passato (ma qui non c’è nessuna volontà vintage, anzi).
Ma proprio in questi giorni ho lanciato una call fra gli amici del mondo dell’arte e del design per segnalarmi oggetti della propria regione. Unica regola: devono esistere da almeno trent’anni. Poi li metteremo sul sito con vicino il nome del “segnalatore” e un link a suoi progetti o social. Anzi, se ti va di partecipare, mi farebbe molto piacere.
L’idea è di fare una mappatura di questa Italia sommersa e farla solo in due è impossibile! Anche perché molte cose le conosci solo per passaparola, ma è questo il suo bello.
A parte il Varnelli (il mio “spirito” preferito) vedo di fare mente locale e suggerirti altre cose marchigiane…
Oh, il Varnelli mi manca!
Il sito è anche in inglese quindi il target non è soltanto italiano. Come pensate di raggiungere potenziali clienti esteri?
Sì, il sito è bilingue proprio perché vogliamo rivolgerci ai consumatori internazionali. Di recente sono stata a Londra e ho visto che ci sono diversi negozi che stanno lavorando sul concetto di “made in”.
E per raggiungere potenziali clienti faremo senz’altro comunicazione internazionale.