Il concetto è semplice: piatti, piattoni, piattini, ciotole, tazze, tazzine, tazzulelle (‘e cafè) sono come una tela, sulla quale “dipingere” con le proprie ricette. Attraverso sapori, profumi, abbinamenti, consistenze, certo, ma ovviamente anche attraverso l’aspetto estetico di ciò che viene servito e che, se tutto va bene, verrà consumato con gusto.
E come la tela — bianca, discreta, pronta a sparire, a farsi da parte quando i pennelli entrano in azione — così il servizio di porcellane Base ha la rara qualità di non aver manie di protagonismo.
Non è solo questione di minimalismo (ché di servizi minimal con manie di protagonismo ce ne sono fin troppi) ma di armonia, di equilibrio, di discrezione frutto di quella che — azzardando, visto che si parla comunque di oggetti — può esser definita come consapevolezza.
C’è una indiscutibile umiltà in questi piatti, in queste ciotole, in queste tazze e tazzine nate dalla collaborazione tra Piet Boon, studio fondato nell’83 dall’omonimo designer (che tra l’altro, non so se lui in persona o qualcuno della comunicazione, mi ha invitato a prendere la suddetta tazzulella ‘e cafè a Milano, durante la design week), in collaborazione con il marchio belga Serax.
C’è, in Base, tutta l’eleganza del contenitore che sa lasciare la scena al contenuto con l’intento di valorizzarlo senza sopraffarlo. Riuscendo nel difficile compito di adattarsi a tavole e piatti di ogni tipo, da quelli tradizionali a quelli futuristici, retrò, all’avanguardia… Come una tela, per l’appunto.