Non esattamente i tipi di tappeti con cui arredi la casa, che metti sotto al tavolino da caffè, su cui piazzi i pargoli a giocare e a piluccare le molliche dei biscotti e i “gatti” di polvere o sui cui fai la preghiera al sole ogni mattina.
Quelli di We Make Carpets sono piuttosto la versione che potrebbe nascere dopo un workshop d’impronta “munariana”, con troppa birra a disposizione, una malcelata ossessione per la geometria e una certa dose di curiosità per l’artigianato etnico.
Dal primo tappeto, realizzato durante la design week olandese recuperando foglie, pigne, ghiande, muschio e aghi di pino, il trio formato da Bob, Marcia e Stijn negli ultimi cinque anni ha realizzato decine di opere, ciascuna iniziata senza un’idea precisa della struttura ma con i materiali da usare ben chiari.
E sono proprio i materiali a caratterizzare i loro tappeti, realizzati su loro iniziativa oppure commissionati da musei, negozi o locali: sottobosco, appunto, ma anche salviettine e cotton-fioc, cerotti, bicchierini di caffè, mattoni, soldatini giocattolo, pasta, forchettine da aperitivo, graffette, mollette, bottoni, barchette di carta, barrette di cioccolato, spugne, bottiglie di plastica, colori a cera, persino fuochi d’artificio e palloncini da gonfiare.
Essendo però quasi sempre “temporanei” — esattamente come dei mandala, da costruire con infinita pazienza, posizioni precarie e tanta fatica, per poi essere alla fine distrutti — c’era bisogno di qualcosa di tangibile, oltre al sito, per mostrare al mondo il frutto di cinque anni di lavoro.
Ed è nato quindi un libro, intitolato anch’esso We Make Carpets, che raccoglie in quasi 200 pagine le opere e il making of.