
Fin dalla sua prima uscita, nel 2011 (e all’epoca non me lo feci sfuggire), Kinfolk Magazine diventò uno dei punti di riferimento della nuova ondata di riviste indipendenti che invasero librerie, concept store e web, calamitando una tipologia di lettori che negli anni si è rivelata fedele quanto pure stereotipata: hipster che abitano in grandi città, si spostano in bici, hanno la barba (o amano gli uomini con la barba), bevono birra artigianale e mangiano cibo a km-0, hanno un cortile, fanno brunch, mettono le foto delle colazioni e delle scarpe su Instagram…
Stereotipati sì, dunque, ma non credevo che lo fossero al punto tale da avere praticamente le stesse, identiche abitudini, comprare le stesse, identiche cose, e soprattutto fotografare gli stessi, medesimi soggetti.
Ma a giudicare da quel che viene pubblicato su The Kinspiracy, un tumblr che si prende gioco dei “kinfolkiani” rivelandone i pattern comportamentali ed estetici semplicemente andando a spulciare i loro profili Instagram e, senza troppa fatica, cogliendone le similitudini, ciò che esce fuori è che se leggi Kinfolk sei praticamente fatto con lo stampino. Come i cappuccini.






