hotel sconosciuto

Ssssst, Non Disturbare

Stazione di Bologna. Gente in attesa ai binari. Gli sguardi in contemplazione del cartellone degli orari nella sala d’aspetto. Gli slalomisti che si fanno strada tra le valigie. I turisti col naso immerso nelle guide. La nuvoletta dei fumatori nel piazzale. Il flusso di corpi vomitati e risucchiati dalle porte dell’unico bar. Frammenti di conversazioni in movimento. Monologhi al telefono. Sguardi che (s)guardano guardinghi, eccitati, stanchi, spenti, supplichevoli, annoiati, a caccia di prede. Pezzi di cibo che cascano e piccioni che raccattano. Mani che s’allungano a chiedere: soldi, sigarette, informazioni, aiuto.
La sala d’aspetto sembra un esperimento antropologico o un reality show: metti insieme viaggiatori sfiniti, rumorose famiglie di provincia, solitudini malinconiche, anziani parcheggiati, fedine penali lunghe un chilometro, malattia mentale e disperazione pura — poi vedi che succede.

Terme Astoria, Abano Terme, Italia
Terme Astoria, Abano Terme, Italia
non sembra un fantasma che fa il dito medio?
(fonte: freewebs.com/dndcollector)

E nell’angolo c’era lui, le scarpe a cui sembravano staccarsi i pezzi a vista d’occhio, il piumino scucito un’esplosione di piume d’oca, i pantaloni una palette autunnale di macchie organiche ed enogastronomiche, il volto chino e immobile, nascosto dal cappuccio, un foglio strappato male e scritto a mano, attaccato chissà come all’altezza del petto. Sopra c’era scritto “do not disturb”. E l’avviso sembrava funzionare.

C’è tutta una letteratura di omicidi, suicidi, persone scomparse, traffico d’armi o di droga, festini alcoolici e/o a luci rosse, nottate da rockstar trascorse nel segreto di una stanza d’hotel protetta dal cartellino “non disturbare”. Che, almeno finché non lo sostituiranno definitivamente con tasti e lucine che s’accendono — e in qualche albergo è già così — è e rimane uno dei pezzetti di carta più potenti del mondo.

La sua potenza è data dalle leggi, certo (dal momento in cui l’ospite ha pagato e fino all’orario di “checkout”, se dalla stanza non arrivano urla disumane, rumori molesti o odori insopportabili, nessuno può entrare), ma anche dal minimale e perentorio, sebbene educato, ordine, che non ammette repliche e non necessita di ulteriori chiarimenti, e soprattutto è data dal contesto, quello dell’albergo, cioè una casa temporanea in cui in cambio di soldi non ti vengono chieste spiegazioni.
Non è come a casa, quella vera, che se ti chiudi dentro devi pur dare un perché e un percome — magari falso ma devi darlo — a mamme, mogli, mariti, fidanzati, coinquilini.

Bahari Beach Hotel, Dar es Salaam, Tanzania
Bahari Beach Hotel, Dar es Salaam, Tanzania
(fonte: freewebs.com/dndcollector)

Il “non disturbare” è ambiguo, misterioso. Se hai mai passeggiato per i corridoi di un albergo e ne hai visto uno attaccato alla porta ti sarai di sicuro fatto il viaggione. Staranno scopando? Girando un porno? Scannando un giovane vergine? C’è una spia? Sono usciti ma la stanza è ridotta tipo Paura e delirio a Las Vegas? C’è una valigetta luminosa tipo quella di Pulp Fiction?

A dirla tutta il “non disturbare” è ambiguo e misterioso pure nel caso del senzatetto in stazione. Perché anche se non è in hotel non è nemmeno a casa. E la stanza per la quale quel cartello scritto a mano vieta l’accesso è l’unica rimasta: quella della mente.
Ma al contempo quel cartello dice al mondo «sono vivo!». O, meglio, dice: «Sono vivo e non rompermi i coglioni. Non venirmi a scuotere per vedere se respiro, non sederti qua accanto a sbraitare col telefono in mano, non farmi pisciare sulla gamba dal tuo cane»…

The Chedi, Muscat, Oman
The Chedi, Muscat, Oman
(fonte: freewebs.com/dndcollector)

Il “non disturbare”, poi, è internazionale. Funziona ovunque e in tutte le lingue ha lo stesso significato. Può cambiare il messaggio che c’è scritto sopra — c’è chi usa l’ironia, chi si affida solo a simboli o disegni, chi lo commissiona a designer professionisti, o artisti, o artigiani (soprattutto nei paesi in via di sviluppo, visti i bassi costi della manodopera, alcuni cartelli sono dei veri capolavori realizzati in legno, ceramica, pelle o addirittura metallo), chi infine approfitta di quel cartoncino per fare o vendere pubblicità — ma un cartello appeso alla maniglia della porta, pure se è scritto in cirillico, chiunque sa cosa voglia dire.

Esistono persino i collezionisti. Come Edoardo Flores, un ex-dipendente dell’ONU che ora vive in Italia ma che, per lavoro, ha sempre viaggiato moltissimo raccogliendo qualcosa come quasi 9000 cartelli “non disturbare” di tutto il mondo, tra quelli presi personalmente, quelli portati da amici e quelli scambiati con altri collezionisti.

hotel conosciuto, Italia
hotel sconosciuto, Italia
(fonte: freewebs.com/dndcollector)

La sua enorme collezione, che convive con altre raccolte “da viaggiatore” (chiavi magnetiche degli hotel, cucchiaini delle compagnie aeree e toilet seat bands, cioè le strisce avvolto attorno al coperchio del water che ti avvertono che è pulito), si può visitare virtualmente su Flickr (tutte le immagini di quest’articolo vengono da lì) ed è un’incredibile risorsa per curiosi ma anche per graphic designer.

Ché anche un banale pezzo di cartone di pochi centimetri quadrati può essere un capolavoro di progettazione, di composizione, di type design.
E chissà se Flores avrebbe inserito nella sua collezione pure il “non disturbare” del senzatetto in stazione.

Union Hotel, Hagen, Germania
Union Hotel, Hagen, Germania
(fonte: freewebs.com/dndcollector)

A proposito di “non disturbare” scritti a mano. Una volta ero al mare. Avevo 18 anni e doveva essere febbraio o marzo dato che avevo ancora il maglione. Mi ricordo che avevo il maglione perché me l’ero messo tutt’attorno alla testa lasciando scoperti solo il naso e gli occhi, sui quali però avevo infilati gli occhiali da sole.
Ero al mare invece di essere a scuola. Avevo lo stomaco in fiamme, la testa a pezzi e la pelle disidradata. La sera prima c’era stata la festa del paese e avevo bevuto il bevibile e fumato il fumabile.

Alle 8,00 invece di entrare dalle porte del Liceo m’incamminai verso la spiaggia, dove i proprietari degli stabilimenti balneari stavano facendo manutenzione prima dell’inizio dei primi caldi. Verniciavano, stuccavano, lavavano, in calzoncini e ciabatte, la pelle perennemente bruciata dal sole, i capelli scoloriti dalla salsedine.
Trovai l’unico stabilimento balneare completamente vuoto, mi misi dietro una casetta di legno e provai ad addormentarmi nonostante la nausea. Passarono non più di 10 minuti e venne un tizio a svegliarmi con una pedata. Mi scusai e me ne andai.

hotel sconosciuto
hotel sconosciuto
(fonte: freewebs.com/dndcollector)

Decisi che l’unico posto tranquillo, l’unico senza gente intenta a pitturare e spazzare, senza atletici vecchietti di corsa sul bagnasciuga, senza coppiette amoreggianti, senza cani caganti. Decisi che l’unico posto tranquillo era il molo. E mi trascinai fin laggiù, dove le onde color antracite sbattevano sul calcestruzzo e mi sputavano schizzi d’acqua sugli occhiali, sdraiato com’ero, appoggiato sullo zaino di scuola, col maglione ancora avvolto attorno alla testa, per “ovattare” i rumori del mare, il creek dei gabbiani, lo sferragliare del treno.

Credo di esser rimasto lì almeno tre ore. Perché era quasi mezzogiorno quando mi sentii scuotere, sempre più forte, e ci misi un po’ a capire e ad aprire gli occhi perché — lo ricordo ancora — stavo sognando di essere a galla sotto un sole cocente, nessuna terra in vista, niente nuvole, niente rumori.
«Sarà vivo?», sentii. E la voce s’insinuò nel sogno e mi riportò alla realtà.

Michelberger Hotel, Berlino, Germania
Michelberger Hotel, Berlino, Germania
(fonte: freewebs.com/dndcollector)

Sopra di me c’erano due poliziotti insieme a un altro tizio, che poi disse di essere un pescatore. Era stato lui a vedermi. Aveva provato a svegliarmi, disse, poi visto che non c’era riuscito e che non capiva se respiravo oppure no aveva chiamato la polizia.

I poliziotti ovviamente mi chiesero i documenti, mi fecero mille domande, e io spiegai tutto. Mi lasciarono andare senza troppi problemi e alla fine tornai in stazione, presi il bus del ritorno e arrivai a casa al solito orario. Non se ne accorse nessuno, quel giorno.
Ma quando vidi il senzatetto in stazione, quasi vent’anni dopo, mi pentii di non aver scritto pure io, allora, un cartello “non disturbare”.
Chissà se avrebbe funzionato e, nel caso, che piega avrebbe preso la mia vita.

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