Nei libri, nelle mostre, nelle riviste, sui siti, in quelle infinite raccolte senza capo né coda su tumblr, i progetti di design (grafico, pubblicitario, del prodotto, dell’informazione…) di solito vengono presentati ben impacchettati in una magnificente artificiosità, quasi appartenessero al regno dell’assoluto, all’iperuranio dove le idee funzionano perfettamente — basta saperle pescare, proporre al cliente e realizzare — senza badare a contrattempi, compromessi, rifiuti, pure e semplici sfighe.
Non voglio certo insinuare che le migliaia di pubblicazioni relative ai progetti realizzati da studi creativi, talentuosi studenti o superstar del settore non servano a nulla — tutt’altro — ma forse un bel bagno nella realtà di tanto in tanto va fatto, e non solo nelle scuole che formano i futuri designer ma anche in quegli stessi libri, quelle stesse riviste, quelle mostre e via dicendo.
Design for People è — o, meglio, sarà — quel tipo di libro.
Attualmente in fase di raccolta fondi su Kickstarter, il volume è una sorta di manuale per designer in forma di una retrospettiva ragionata dedicata all’opera di uno studio creativo di successo, il newyorkese Open (già il sito ha un indirizzo geniale: notclosed.com), fondato a fine anni ’90 da Scott Stowell.
Design for People mostra tutto. Come per arrivare da A a B a volte tocchi fare dei giri assurdi, come quel che doveva esser B è diventato C, D, o Z, quel che invece è sì partito da A e poi però non è diventato niente, o è finito in un cassetto insieme alla mail incazzata di un cliente.
In un mondo, quello del design, che vive di scoperte, invenzioni, creatività e fantasia, a volte è la sporca realtà dei fatti a essere la più importante delle scuole.
