foto di Tony Anna Mingardi per Illustri

Poi mi sono chiesto se volessi fare l’artista o il professionista, perché sono due cose diverse

Ad un anno dalla prima edizione di Illustri, Vicenza torna a far parlare di sé proseguendo il percorso avviato nel 2013 e ponendosi sempre più in vista nel panorama nazionale come luogo d’elezione per ospitare il mondo delle illustrazioni e i relativi autori.

Lo scorso 25 ottobre a Palazzo Chiericati, a pochi passi dalla Basilica del Palladio, si è aperta la personale di Alessandro Gottardo, illustratore altrimenti conosciuto come Shout.
Originario di Pordenone ma attualmente di stanza a Milano, Gottardo ha iniziato la sua carriera con il nome anagrafico, proseguendo poi sotto l’egida di Shout collaborando con art director, riviste, case editrici e agenzie pubblicitarie e ricevendo numerosi riconoscimenti.

La personale in corso a Vicenza (Selected Works) offre l’occasione per ricondurre ad unità il bipolarismo nominale di Gottardo e consente di esplorare la produzione dell’illustratore spaziando da tavole inedite e originali, acquetinte e una speciale sezione dal titolo Jetlag.

La sottoscritta ha avuto la fortuna di visitare la mostra accompagnata da Gottardo in persona. Quello che segue è il resoconto del nostro discutere itinerante attraverso le sale sotterranee del palazzo, fra aneddoti, rimandi letterari e una citazione al Mastroianni de La Dolce Vita inserita con molta nonchalance in una delle tavole.


foto di Tony Anna Mingardi per Illustri
foto di Tony Anna Mingardi per Illustri

La mostra raccoglie un totale di 48 opere disposte in quattro sale. La prima sala è Indigo. Che opere sono state selezionate?

Sono presenti stampe tratte da due monografie: Mono Shout del 2010 e On Shout, che verrà presentata oggi.
Nella prima sezione sono esposte le tavole più recenti che ho realizzato per Einaudi per la copertina dei racconti di Raymond Carver, un autore considerato in America un maestro delle short stories. Carver è fra gli scrittori che seguo da lungo tempo, mi piacciono molto le sue atmosfere che sono sempre tipiche e particolari e il fatto che abbiano voluto me per questo lavoro è strano e bello al tempo stesso.
Sull’altra parete ci sono dei lavori fatti per l’Internazionale, per un poster cinematografico, un lavoro per Lufthansa, e altri, per un totale di 8.

I lavori sono stati tratti da diverse monografie, quali sono le differenze stilistiche?

Ci sono alcune differenze stilistiche rispetto agli altri lavori, in questa sezione sono presenti alcuni dei lavori che ho usato per promuovermi come Shout e esplorare un nuovo linguaggio con maggiore disinvoltura. Al tempo (2006) avevo un contratto che mi impediva di cambiare o modificare il mio stile. Con Shout lo stile è diventato più minimale per certi versi ridotto all’osso. Col passare degli anni questo aspetto si è in parte modificato. Ora per esempio uso una gamma cromatica più alta anche per evidenziare i dettagli. Non è un discorso legato solo al fattore stilistico ma anche personale.
Credo che quando lavori devi anche trovare il modo di divertirti, rifare sempre le stesse cose crea degli automatismi che fanno perdere la freschezza e anche il piacere di lavorare. La mia natura mi porterebbe molto a cambiare, cioè smettere di fare qualcosa e iniziare a fare qualcosa d’altro.

foto di Tony Anna Mingardi per Illustri
foto di Tony Anna Mingardi per Illustri

La seconda sala ospita i tuoi lavori più personali, che tecnica hai scelto per queste tavole?

Sono incisioni con acqueforti, fatte con le lastre e tutto il processo annesso. Non sono intervenuto in prima persona, ho preferito lavorare il file in digitale e spedirlo a coloro che poi avrebbero realizzato la serigrafia. Loro si sono occupati della realizzazione finale; hanno fatto delle pellicole in cui hanno riportato ogni dettaglio, queste pellicole sono state impresse su delle lastre divise per colore (lastra nera, grigia, rossa e verde) e poi sono state inchiostrate una alla volta e messe a registro strato su strato. Si tratta di un processo molto complesso.

foto di Giulia Bertuzzi
foto di Giulia Bertuzzi

Quale tematica hai affrontato?

La tematica è riassumibile nella parola “dazed” che significa confuso e stordito, queste tavole dovrebbero trasmettere l’idea di essere fuori sincrono e suggerire delle situazioni che possano risultare ambigue o quanto meno non puntuali e che rimandino a più interpretazioni.
Non c’è la volontà di raccontare qualcosa di preciso ma di raffigurare la perdita di equilibrio che secondo me rappresenta bene il momento storico che stiamo vivendo. Le informazioni sono talmente tante e passano così velocemente che la sensazione è quella che sia trascorso tutto senza che ce ne potessimo accorgere.

Nella terza sala, Jetlag, è esposto un progetto completamente inedito. Visto il nome scelto immagino che il tema riguardi gli spostamenti aerei.

Esatto, si tratta di serigrafie tratte dal volume Jetlag, che ho pubblicato con Franco Cervi. Il progetto è nato da alcune mie sperimentazioni di disegno che risalgono al 2003 e 2004. Il concept di base è quello di mostrare delle persone affette da jetlag quindi persone che viaggiano in tutto il mondo e che appaiono stordite o indisposte o, come nel caso precedente, fuori sincrono. Le persone rappresentante sono in grado di volare dall’Hilton di Delhi a quello completamente identico di NY, come se fosse un viaggiare non-viaggiare.

Che spunti hai preso per i volti dei personaggi realizzati?

I personaggi sono in gran parte inventati, tranne uno che rappresenta esattamente il mio bancario, un individuo dal volto così felliniano che sarebbe stato un vero peccato non trasporre in questa sezione. A parte questo, la cosa principale che mi interessava cogliere era l’espressività dei volti e sono riuscito a farla emergere perché il volto è inventato.

foto di Giulia Bertuzzi
foto di Giulia Bertuzzi

Concludiamo, cosa ci aspetta nell’ultima sala?

Questa è l’unica sala di lavori originali, tutti fatti a penna Bic.

Perché a penna Bic?

Un gallerista mi aveva chiesto dei lavori ma era interessato agli originali. Da tempo avrei voluto riprendere a fare dei lavori in originale visto che la mia formazione è quella: venendo dal liceo artistico ero abituato a disegnare ore e ore ogni settimana, con tutte le tecniche possibili. Sono passato al digitale sostanzialmente per vivere e per continuare a fare questa professione.
Ho colto questa opportunità optando per la penna Bic perché mi sembrava la tecnica più semplice; non dovevo scegliere più niente, dal tipo di pennello al colore da impiegare.
Ho scelto la penna Bic perché mi desse una piccola gabbia, visto che la penna è rossa, nera o blu. Ho scelto il nero e il rosso perché riprendono altri lavori che ho fatto, dando quindi una continuità, anche se c’è distanza temporale fra i vari progetti.
Inoltre volevo tornare a incidere il foglio, solcarlo, lavorarlo fino a conservare gli errori. Il fondo delle tavole è anch’esso ricavato con la Bic, si tratta infatti dell’inchiostro passato con un po’ di acqua. Ho isolato il disegno con lo scotch carta e stendendo gli sbaffi di inchiostro della penna ho “tirato” il fondo delle tavole.

foto di Tony Anna Mingardi per Illustri
foto di Tony Anna Mingardi per Illustri

In questo caso il tema di fondo si lega al mondo dei social network.

Il concept complessivo riguarda il guardare essere guardati, il giudicare e l’essere giudicati, diciamo sui social network. Anche se in realtà l’esplosione dei social è legato ad un fenomeno che c’è sempre stato, cioè il voyeurismo, che nel mondo dei social è esasperato. In due tavole ho rappresentato due protagonisti senza lineamenti, visti in formato fototessera. Entrambi rappresentano un’identità che non c’è.

Con la sala degli originali la mostra è conclusa, vorrei farti una domanda riferendomi alla guida che hai scritto per Frizzifrizzi. Rileggendola mi ha colpito la tua disponibilità ai condividere dei “segreti” professionali. L’ho trovato un comportamento abbastanza in controtendenza rispetto a quello di molti professionisti. Cosa pensi in merito?

Penso che una motivazione di questo mio comportamento sia da rintracciare nella mia storia personale. A mia volta ho avuto dei riferimenti molto forti, che cito perché credo siano stati molto importanti. Si tratta di 5 maestri italiani: Gianluigi Toccafondo, Guido Scarabottolo, Beppe Giacobbe, Lorenzo Mattotti e Franco Matticchio.
Senza il loro lavoro non so se mi sarei innamorato di questo lavoro. E studiando le loro tecniche, il modo di gestire gli spazi pieni e vuoti di Scarabottolo, le texture di Giacobbe, le prospettive di Mattotti, le atmosfere di Toccafondo… Mi hanno insegnato tantissimo anche senza essere stati direttamente miei insegnanti. Ho avuto la fortuna di ringraziarli e di conoscerli quasi tutti personalmente e so che a loro ha fatto piacere che io li abbia citati e abbia riconosciuto loro delle responsabilità, positive, nei miei confronti.

foto di Tony Anna Mingardi per Illustri
foto di Tony Anna Mingardi per Illustri

E della concorrenza che mi dici?

Effettivamente non ho paura della concorrenza, che è altissima al di fuori dei nostri confini. Ogni anno solo NY ha 4 scuole super di illustrazione che sfornano fenomeni che hanno 20 anni e che difatti sono già all’interno del mercato perché i loro docenti sono persone della mia età, se non più giovani, che sono art director, piuttosto che insegnanti, e che sono già inseriti nel mondo che può richiedere quei determinati tipi di lavori. Quindi il discorso della concorrenza non credo faccia parte di me e nemmeno mi interessa più di tanto.
Infine, il discorso della condivisione è in parte legato al fatto che ricevevo tantissime mail da molti ragazzi che mi chiedevano informazioni e spesso le mie risposte erano le medesime. Molte delle informazioni riportate nella guida sono tratte da uno speech che ho tenuto allo IED di Milano. Facendo una cosa del genere, mettendo a disposizione quelle informazioni, mi sono reso conto di aver avuto molto più io di quanto ho dato a chi ha letto, perché la riconoscenza che in alcuni casi mi è stata dimostrata è stata sicuramente superiore ai miei sforzi di condivisione.

Com’è il mestiere dell’illustratore nell’era della condivisione totale e dei social network?

È un mestiere che è più difficile di quanto sembri, perché al di là del talento, al di là della capacità che uno ha di tradurre per concetti dei messaggi, il problema è “durare” tanti anni. Io facevo questo mestiere da 15 anni, e molto bene da Shout in poi, quindi dal 2006, 2007. Tuttavia non hai mai la sicurezza che tutto prosegua all’infinito; sei sempre tu e solo tu il riferimento che devi ogni volta superare, non c’è veramente tempo di vedere cosa facciano gli altri. In questo senso, essendo anche fuori dai social network, sono veramente isolato, ma questo mi consente di fare il mio lavoro nel modo che voglio e quando finisco di vivere la mia vita senza essere vincolato. Io funziono bene così.

foto di Tony Anna Mingardi per Illustri
foto di Tony Anna Mingardi per Illustri

Fare l’illustratore significa in primo luogo lavorare su committenza, come hai conciliato l’impulso artistico con quello che ti vincola a soddisfare il cliente finale?

Quando avevo 20 anni avevo lo stesso impulso dei ragazzi di 20 anni di adesso; a quell’età non avendo affitti da pagare o bollette vivi in un mondo ovattato, magari con in mano il bancomat di tuo padre e il desiderio di mirare all’arte “pura” o a esprimere te stesso.
Quando ho realizzato che questa doppia visione di me stesso era dannosa, mi sono chiesto se volessi fare l’artista o il professionista, perché sono due cose diverse. L’ho capito in fretta. Nel momento in cui mi davano commissioni su articoli di business o cose del genere, ho capito che dovevo trovare qualcosa che riassumesse tutto a livello simbolico.
Io faccio il mestiere dell’illustratore, se facessi qualcosa di personale e che non ha un committente come fruitore finale farei cose molto diverse e tirerei fuori cose sperimentali vedendo dove la cosa mi porta. La mia scelta è stata quella di essere un illustratore: mi va bene così, e mi piace molto. Altri miei colleghi hanno preferito una duplice veste ma per me sarebbe molto dannoso perché fare l’illustratore mi permette di avere a che fare con una molteplicità di clienti senza preclusioni. Io ho una visione molto pragmatica, molto “veneta”. Fare l’artista potrebbe portare a valutazioni anche di tipo personale nel considerare un lavoro ma nel mio caso non è così. Quando un lavoro arriva si prende e basta. Sono una persona per metà molto concreta e per metà, fortunatamente, molto creativa.

Per concludere: prima di questa intervista ti avrei definito con tre aggettivi: pragmatico, sintetico, disponibile.
Ci avrei preso?

Direi che ci hai azzeccato in pieno.

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