Il paradosso, per chi lavora dietro le quinte, è che il grande pubblico, quello dei non-addetti ai lavori, probabilmente sarà circondato, senza saperlo, da cose che portano la sua firma. Quando esce fuori il nome — buio totale. Quando però qualcuno lancia quel lazo invisibile per linkare il nome alla cosa, all’oggetto, allora arriva l’epifania: i neuroni iniziano a correre da tutte le parti intrecciando fili, innescando scintille di elettrici pensieri che andranno a stringere nella rete decenni di stimoli visivi, di immagini fino a quel momento slegate, a bagno nel brodo dei ricordi.
(il nome, dunque) John Alcorn!
(e l’epifania) il riccioluto logo della BUR, gli istrici — pronti a pungere chi li stuzzica — della Salani, compagni di tante serate a lume di abat-jour a immaginar, con qualche brivido lungo la schiena, dentro a un pigiama celeste e sotto a una coperta a scacchi, di streghe con le scarpe a punta, di giardini di mezzanotte, di fantasmi e uccelli notturni. E le copertine, poi, prese a una a una dalla libreria del babbo, immaginando mondi anche senza legger nient’altro che i titoli (e giù a provare a imitare quelle R arzigogolate, quelle N taglienti, quelle B gommose sui fogli di carta intestata della fabbrica del nonno). E le copertine, dicevo. Quel diluvio psichedelico, quelle illustrazioni, le cornici colorate della Longanesi che zitte zitte hanno insegnato ad abbinare i colori a un paio di generazioni di lettori.
Uscito dai leggendari Push Pin Studios di Milton Glaser (e Chwast e Ruffins e Sorel), John Alcorn arrivò in Italia nei primi anni ’70 e rivoluzionò per sempre il mondo dell’editoria, portandoci la grafica dei figli dei fiori (i fiori poi ricorreranno regolarmente nell’opera dell’artista, tra l’altro appassionato di giardinaggio), un’attenzione maniacale e un coraggio forse senza precedenti — almeno nel panorama nostrano — nell’uso della tipografia, cambiando veste a case editrici come appunto Rizzoli, Longanesi, Salani, Guanda, Tea, Frassinelli… e influenzando il lavoro degli art director, dei grafici editoriali e dei pubblicitari che sarebbero arrivati in seguito.
Alcorn, morto nel ’92 a soli 56 anni, ha lasciato una gran quantità di lavori, recentemente raccolti dall’Archivio Apice dell’Università Statale di Milano, ma fino ad oggi — a parte la lodevole ripubblicazione di Libri! (finora inedito in Italia) da parte di Topipittori, in collaborazione con Marta Sironi, curatrice del Fondo Alcorn — non era ancora uscita una monografia dedicata al designer ed illustratore newyorkese.
A rimediare, però, ci ha pensato Moleskine, che proprio in questi giorni ha dato alle stampe John Alcorn — Evolution by Design, che va a inserirsi in una serie di pubblicazioni dedicate al processo creativo e al “dietro le quinte” di artisti e designer inaugurata nel 2009 dal marchio delle celebri “agendine”.
Il libro, a cura di Marta Sironi e Stephen Alcorn, figlio di John, raccoglie oltre 500 opere, compresi bozzetti, progetti scartati o mai realizzati, foto di famiglia o di Alcorn al lavoro nel suo studio, per una biografia illustrata che racconta l’uomo, il padre e soprattutto l’artista in tutta la sua breve ma intensissima carriera, capace di lasciare il segno nell’immaginario collettivo, anche in chi il suo nome non l’ha mai sentito nominare prima.
Il volume, che puoi già trovare anche in libreria, verrà presentato ufficialmente il prossimo 13 novembre a Milano, durante Bookcity, con un evento che vedrà come protagonista Guido Scarabottolo, grande illustratore e direttore editoriale di Guanda, che dialogherà con le opere di Alcorn improvvisando nel suo personalissimo stile, realizzando dal vivo una copertina e spiegando il processo creativo che c’è dietro alla grafica contemporanea, sperimentando tra l’altro le nuove Moleskine Livescribe, capaci di convertire ciò che viene tracciato sulla cara, vecchia carta in formato digitale.