Il classico dei classici, quando sei al telefono con uno di famiglia, è parlar del tempo. Che tempo fa là, che tempo fa qua. Tanto per — come si dice in questi casi — dare aria ai denti, spesso perché poi non si ha molto altro da dire. Eppure basterebbe fare un passettino più la con l’immaginazione — visto che perlopiù quelli ai quali si riferisce la breve “recensione” metereologica telefonica sono luoghi familiari — per innescare catene di ricordi.
Un «piove a dirotto» detto da mia madre a fine giugno sa di letture sotto la veranda, sa di odore di erba bagnata, sa di riflessi metallici sull’asfalto, del rumore delle macchine che passano dalla seconda alla prima sulla curva che sale in paese, di mini-impronte lasciate dal gatto sull’uscio prima di scrollarsi via nervosamente l’umido dalle zampe, sa di giornate afose che lasciano il posto a rassicuranti serate sotto alle coperte.
Una nuvoletta su un’app, sopra a un posto che conosci bene, è molto più che un semplice insieme di pixel. È un immaginario condiviso, la rievocazione di un pezzetto di storia personale.
Concetto che si sposa perfettamente con Patch of sky, tre prototipi di lampade appena presentati da Fabrica, connesse al web e funzionanti grazie a una tecnologia che unisce Arduino a BERGcloud, capaci di riconoscere attraverso la geolocalizzazione di Facebook il tempo che fa a casa di qualcuno che conosci, e di condividere il proprio pezzetto di cielo.
Le tre lampade, che riescono a riprodurre undici diversi stati climatici attraverso i colori e le animazioni luminose, sono opera di un gruppo di studenti di Fabrica — Leonardo Amico, Federico Floriani, Reda Jouari, Alice Longo, Akshataa Vishwanath e Giorgia Zanellato — e si chiamano come altrettante divinità egizie (Amun, dio del vento; Set, dio delle tempeste; Tefnut, dea della pioggia).
foto Shek Po Kwan
editing fotografico Marlene Wolfmair
regia video Alessandro Bertelle
riprese Coleman Guyon