in esposizione gli oggetti di design ispirati a Morandi

aroundmorandi – natura morta con pane e limone

Domenica mattina. Le borse sotto agli occhi dopo una nottata intensa, passata a rimuginare, a sistemare le decine di foto scattate durante una delle più memorabili cene a cui mi sia capitato di partecipare, a digerire i troppi bicchieri di vino che hanno accompagnato i piatti, le chiacchierate e le storie raccontate a tavola, mentre il rumore di fondo del pensiero provava di continuo a calcolare quante ore di sonno mi sarebbero rimaste di lì all’indomani al netto del rimuginìo di cui sopra e del cambio dell’ora.

Domenica mattina di sole in faccia e aria fresca. Mi infilo tra i vicoli di Bologna diretto in via Fondazza, là dove un tempo abitava colui attorno al quale sono ruotati gli ultimi tre giorni della mia vita, Giorgio MorandiGiorgio e non Gianni, quello delle nature morte, delle bottiglie e dei vasi, come ho spiegato a mia figlia ogni volta che mi ha chiesto «Papà, esci ancora? Dove vai?».

«Il tovagliolo doveva sempre essere candido, piegato in quattro, quadrato, ben disteso alla destra dei commensali.» — Maria Teresa Morandi (testo a cura di Carlo Zucchini)
«Il tovagliolo doveva sempre essere candido, piegato in quattro, quadrato, ben disteso alla destra dei commensali.» — Maria Teresa Morandi (testo a cura di Carlo Zucchini)

In via Fondazza c’è Casa Morandi, dove il pittore ha vissuto dal 1910 al ’64 insieme alla madre e alle tre sorelle, spesso chiuso nella sua camera da letto che era anche lo studio nel quale dipingeva i suoi quadri, e guai a chi lo disturbava quando trovava la luce perfetta, che poi aspettava il giorno seguente e quello dopo ancora, finché non finiva la tela, i piedi sempre nella stessa posizione, giusto dietro a un segno che lasciava sul pavimento, il cavalletto immobile, fisso sull’unico punto di vista possibile per raccontare con le sue pennellate, i suoi volumi, i suoi accostamenti di colore, le nature morte che accuratamente disponeva, segnandone i contorni su dei grandi fogli o sui tavoli in modo da non perderne per alcun motivo traccia nello spazio, ché al tempo ci pensava la luce e all’eternità l’arte—pare non ce ne fosse per nessuno quando Morandi chiudeva la porta della sua stanza e iniziava a dipingere, e che addirittura il grande Stravinskij (con suo grande disappunto) non venne ricevuto perché quella luce tanto aspettata arriva solo una volta al giorno e interromperne l’opera significava buttar via una tela.

Sono all’ultimo degli appuntamenti di aroundmorandi, la quattro-giorni dedicata al grande artista ideata e curata dall’associazione wonderingstars (qui trovi l’intervista che ho fatto alle fondatrici proprio riguardo all’evento).
Io e un gruppetto di curiosi affamati di storie siamo a Casa Morandi per un workshop su Morandi e il colore, tenuto da Vicky Syriopoulou—color designer di Oikos—insieme al maestro Carlo Zucchini, che fu amico personale del pittore ed ora è erede delle tradizioni, della storia, degli insegnamenti di Morandi.

Carlo Zucchini
Carlo Zucchini

Di questi aroundmorandiani giorni Zucchini è stato il gran mattatore. Ha introdotto, ha raccontato, ha tirato fuori dalle saccocce della memoria tutto un mondo di aneddoti, è persino tornato insegnante e ha spiegato Morandi ai bambini durante i laboratori organizzati appositamente per loro, felice di vedere come il sogno che sta portando avanti da una vita, cioè comunicare l’estrema contemporaneità della lezione del pittore bolognese, si sia materializzato davanti agli occhi del pubblico durante un evento che invece di focalizzarsi sull’opera dell’artista ha voluto girargli attorno parlando della sua famiglia attraverso il cibo e la tavola, partendo da quell’intricata matassa di opera, vita, ispirazione, ritualità, estremo rispetto per le cose—dalle espressioni della natura ai manufatti dell’uomo, vero grande centro focale della sua produzione artistica, ché le nature morte non portino fuori strada—e tirandone i fili fino al presente attraverso una mostra di oggetti di design per la tavola.

È lo stesso linguaggio del corpo del maestro Zucchini a considerare quella di Morandi come un’esperienza tuttora in fieri.
Quando parla di lui, in Casa Morandi, continua a indicare col dito la finestra di camera sua. Quasi il pittore sia ancora lì, con la porta chiusa, ad aspettare la luce giusta, quella stessa luce sotto alla quale per anni, prima di passare alle vernici industriali (che si faceva mandare direttamente da Londra), metteva i colori che creava in casa con le terre, «per far comporre fisicamente il colore dal sole», racconta Zucchini.

«Finché la mamma fu in grado era lei che preparava le pietanze. Annetta l'aiutava a servire in tavola mentre, non so bene per quale felice destino, io venni incaricata di servire il caffè. Naturalmente era il Sig. Vitali che ce lo forniva, in grani, ce lo portava dal suo emporio di Milano su richiesta di Giorgio; per lui il pasto di mezzogiorno non poteva terminare se non con una buona tazzina di caffè: 'Se no la mano destra si paralizza', diceva». — Maria Teresa Morandi (testo a cura di Carlo Zucchini)
«Finché la mamma fu in grado era lei che preparava le pietanze. Annetta l’aiutava a servire in tavola mentre, non so bene per quale felice destino, io venni incaricata di servire il caffè.
Naturalmente era il Sig. Vitali che ce lo forniva, in grani, ce lo portava dal suo emporio di Milano su richiesta di Giorgio; per lui il pasto di mezzogiorno non poteva terminare se non con una buona tazzina di caffè: ‘Se no la mano destra si paralizza’, diceva». — Maria Teresa Morandi (testo a cura di Carlo Zucchini)

La luce aveva un importanza tale, nei suoi lavori, che quando a un certo punto di fronte alla sua finestra costruirono un muro alto e giallo Morandi non riuscì a dipingere per alcuni mesi per via del cambio di tonalità dei raggi che, riflessi dal muro, entravano nella sua stanza.

Per risolvere il problema si inventò una sorta di vela, un panno bianco sostenuto da un telaio che poi piazzava fuori dalla finestra. Pur non riuscendo più a recuperare la vecchia luce lo stratagemma gli diede modo di abituarsi pian piano a quella nuova, che entrò via via nelle sue opere, sottile come la poetica stessa dell’artista.

Perché un Picasso, spiega Zucchini, ti aggredisce, ti salta addosso quando lo guardi. Morandi è l’opposto. I suoi quadri pretendono l’attenzione e la partecipazione attiva dello spettatore che per vedere oltre «quel pezzetto di tela con tre colori» deve farsi penetrare dalla rappresentazione del pittore.
La sua stessa cura nello scegliere la luce e il punto di vista, nel cercare il colore negli oggetti minimi, come un sasso o una spiga di grano (che poi conservava e magari fissava sulla parete accanto al letto), non va scambiata per maniacalità quanto piuttosto come prova del massimo rispetto per la rappresentazione.

«Per Bacchelli, lo scrittore, solo in occasione delle sue venute Giorgio chiedeva di usare 'quei bellissimi bicchieri' tenuti in mostra nella vetrina del salotto... bicchieri di vetro veneziano dell'Ottocento. Il piede e lo stelo di una leggera tonalità ambrata, la coppa, sottilissima, quasi una bolla d'aria, sfumata in un colore speciale verde azzurro che risalta il colore dei vini bianchi di Romagna, il loro frizzare.» — Maria Teresa Morandi
«Per Bacchelli, lo scrittore, solo in occasione delle sue venute Giorgio chiedeva di usare ‘quei bellissimi bicchieri’ tenuti in mostra nella vetrina del salotto… bicchieri di vetro veneziano dell’Ottocento. Il piede e lo stelo di una leggera tonalità ambrata, la coppa, sottilissima, quasi una bolla d’aria, sfumata in un colore speciale verde azzurro che risalta il colore dei vini bianchi di Romagna, il loro frizzare.» — Maria Teresa Morandi

Il medesimo rispetto che tutta la famiglia Morandi metteva nel rito della tavola, a partire dall’apparecchiare, usando ad esempio bicchieri differenti in base all’ospite (nella mostra allestita all’interno del programma aroundmorandi presso il MAMbo sono ad esempio esposti i bicchieri originali “riservati” a Bacchelli, lo scrittore).

Riti raccontati da un’attrice, Marinella Manicardi, che durante la serata d’inaugurazione dell’evento—giovedì 27 marzo—ha interpretato una delle sorelle Morandi, Maria Teresa, la più giovane, riuscendo a trasportarci indietro nel tempo: me, il pubblico, gli oggetti in esposizione e l’aria che respiravamo nell’enorme Sala delle Ciminiere del museo, piena di suoni che rimbalzavano e ti arrivavano addosso da ogni dove e ti davano l’illusione di starci davvero dentro alle quattro mura della casa di famiglia, ad assistere—non visto, come un fantasma—alla preparazione, ad ascoltare come per magia i pensieri, a osservare i piccoli gesti, a girarti d’improvviso per un rumore.

l'attrice Marinella Manicardi
l’attrice Marinella Manicardi

E chissà se pure Massimo Bottura, che ha voluto reinterpretare la lezione morandiana con un minimale ma intenso Risotto Cacio e Pepe, ha provato ad ascoltare le voci di Casa Morandi, che ha visitato tempo fa insieme a Zucchini per cercare di trasportarne l’atmosfera dentro a un piatto.

Salito sul palco, durante l’inaugurazione ha raccontato col suo solito fare istrionico a un pubblico morbosamente curioso e rapito dai suoi coup de théâtre (ha spruzzato un distillato di pepe sul pubblico e non sono mancate le richieste di selfie, prima dell’apertura, a quella che pur senza un programma in tv è forse la più celebre tra le stelle del firmamento enogastronomico attuale: volente o nolente un fenomeno pop, l’unico in tutta la serata a cui hanno chiesto di firmare autografi) il suo piatto, nato in realtà due anni fa quando il Consorzio del Parmigiano gli ha chiesto una ricetta per aiutare a vendere le forme di parmigiano danneggiate o distrutte dal terremoto che colpì l’Emilia.


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Risotto cacio e pepe
(il racconto di Massimo Bottura)

Abbiamo affettato il Parmigiano per farlo diventare sottilissimo poi abbiamo versato l’acqua a una temperatura di 80°. L’abbiamo lasciato raffreddare, l’abbiamo riportato a 80° e abbiamo visto che tutta la proteina è crollata alla base della pentola, che poi abbiamo messo nello shock freezer, portandola a 0° in pochissimo tempo. A qual punto la parte liquida si è divisa da quella cremosa. Di nuovo la proteina è rimasta alla base della pentola. Quando abbiamo assaggiato i tre elementi la proteina non sapeva di niente, l’acqua era intensissima e con un grande senso di acidità e la crema era Parmigiano in purezza, l’essenza di Parmigiano.
Per cercare la purezza anche nell’estetica il riso non è stato toccato da altro che l’acqua di Parmigiano Reggiano. Non c’è la classica cipolla, non c’è vino bianco… niente. Solo acqua di Parmigiano Reggiano e, per la mantecatura finale, la crema di affioramento.
E il pepe? Il pepe non poteva andare a invadere il piatto quindi abbiamo creato la distillazione di sei diversi tipi di pepe, una concentrazione di pepe da spruzzare sul piatto in modo da non andare a intaccarne l’estetica.


Un risotto che comunque morandiano lo era, per spirito ed estetica.

L’equivalente gastronomico di quella “tela con tre colori” di cui parlava Zucchini, apparentemente semplice, che se lo lasci lì su un tavolo, bianchiccio nel suo piattino, non è mica detto che qualcuno allunghi la mano ad assaggiarlo.
“Non come un Picasso che t’aggredisce!”

Ma ecco che se lo spettatore, in questo caso il degustatore, se prende l’iniziativa e cerca di capire, poi scopre l’intensità, il Sapore con la S maiuscola.

il risotto cacio e pepe di Massimo Bottura
il risotto cacio e pepe di Massimo Bottura

Ma che si mangiava davvero a casa Morandi?
A testimoniare le abitudini culinarie della famiglia c’è un ricettario realizzato dalla mamma e dalle tre sorelle, ricettario che è poi stato la scintilla che ha innescato tutto il processo creativo e organizzativo attorno all’evento aroundmorandi.
Si tratta di ricette originali e di ritagli di giornale, appunti, liste di ingredienti, per un totale di 50 che prossimamente con ogni probabilità diventeranno un libro, grazie all’attenzione di Corraini, indubbiamente la migliore casa editrice auspicabile per un progetto del genere.

la “scenografia” del Convivio, la cena riservata a 44 ospiti; sul tavolo, sopra una banda luminosa, oltre 600 bottiglie
la “scenografia” del Convivio, la cena riservata a 44 ospiti; sul tavolo, sopra una banda luminosa, oltre 600 bottiglie

Alcune di quelle ricette sono state sviluppate e reinterpretate dallo chef Marta Pulini della Franceschetta 58—tra le poche, credo, per storia ed esperienza, capaci di restituire lo spirito originario dei piatti pur traghettandoli nel presente—durante un Convivio riservato a 44 fortunati ospiti, tra cui il sottoscritto (senza altri meriti che rappresentare Frizzifrizzi, media partner di aroundmorandi).

Nella splendida scenografia della serata, l’aria, oltre che delle prime, timide chiacchiere, si è riempita di odori con l’ingresso delle entrée: pane burro e acciughe e scorzette di limone, gelato al Parmigiano con Aceto Balsamico Tradizionale di Modena; crostino croccante con fiocco di culatello e purea di mela ossidata; crema di zucca con briciole di ciauscolo e Sbrisolona di mandorle e amaretto.

Quel ciauscolo—il salame a pasta morbida tipico marchigiano, dove viene chiamato pure ciavuscolo—io lo aspettavo da giorni. A pane e ciauscolo ci sono cresciuto, fa parte della tavolozza di sapori della mia infanzia e aspettavo al varco lo chef per capire come lo avrebbe abbinato senza snaturarlo. Marta Pulini ovviamente c’è riuscita, combinando in minuscoli bicchierini dolce e piccante, speziato e affumicato, per onorare un salume che era anche tra i preferiti di Morandi, che se lo faceva portare dallo storico e critico d’arte Cesare Brandi.

pasta cotta nel sacchetto in brodo di cappone
pasta cotta nel sacchetto in brodo di cappone
la pasta nel sacchetto
la pasta nel sacchetto

Lo stesso Brandi che la prima volta che visitò casa Morandi rimase sorpreso dagli odori e dai sapori. Pensava si mangiassero tagliatelle e tortellini e invece c’era riso a curry (con la mela!).

Ma oltre agli aromi più esotici in casa c’erano pure odori più rassicuranti.
«Si sentiva odore di brodo, arrivando a casa Morandi», ha raccontato Zucchini, sottolineando che pur essendo stato tante e tante volte in quella casa lui però non ci ha mai mangiato.

E il primo piatto presentato da Marta Pulini era appunto un brodo di cappone con pasta cotta nel sacchetto: una ricetta scomposta—servita col brodo nelle brocche e i cubetti di pasta appunto dentro a piccoli sacchettini—che però richiamava rispettosamente le origini.

bomba di riso bianca con fricandò di pollo al curry
bomba di riso bianca con fricandò di pollo al curry

Ed ecco il curry, specialità, come già accennato, della famiglia Morandi. Due delle tre sorelle infatti per un periodo fecero le insegnanti in Egitto e visto che all’epoca l’Egitto era sotto il dominio inglese, lì assaggiarono per la prima volta quella spezia, rimanendone affascinate e riportandola poi a Bologna.

bocconcini di ossobuco senz'osso con gremolata di agrumi al profumo di rosmarino su crema di patate all'olio extravergine
bocconcini di ossobuco senz’osso con gremolata di agrumi al profumo di rosmarino su crema di patate all’olio extravergine

Oltre a ciauscolo e curry Morandi era appassionato anche di ossobuco, che però preparava solo e soltanto la domestica.
La versione di Marta Pulini era ovviamente più moderna: uno spezzatino senz’osso preparato però alla maniera di un classico ossobuco, presentato dentro a un sacchettino trasparente che, all’apertura, esplodeva di odori.

budino di cioccolato fondente con composta di uva fragola
budino di cioccolato fondente con composta di uva fragola

Per dessert, prima di bignolini, tortini di pasta frolla con crema al limone e violetta cristallizzata e cubetti di torta di riso con scorzetta di limone, è arrivato il budino al cioccolato (altra passione morandiana).
Il pittore solitamente lo mangiava con una composta di more ma lo chef l’ha sostituita con composta di uva fragola, uno strappo alla regola per seguire i propri, personalissimi gusti.

Dopo un cena del genere, che ho concluso facendomi rubare da sotto il naso un vasetto di roselline da un gruppo di signore agée—tempo di uscire per una sigaretta e le signore avevano già fatto incetta dei vasi, in teoria uno ciascuno—non potevo che tornare a piedi, rimuginando lungo la strada, rimuginando nottetempo, pronto alla giornata successiva, la domenica di sole che ho raccontanto all’inizio, sole che forse a Morandi sarebbe piaciuto ma piuttosto che pensare a cosa avrebbe dipinto ora, in questo mondo, per questa società, forse è davvero meglio fare come le signore delle roselline, ma rubando, al posto delle piante, un pezzetto dello spirito che uno dei più grandi artisti del Novecento è riuscito a infondere in una schiera di artisti, designer, architetti, cuochi, fotografi… Una lezione fatta innanzitutto di rispetto assoluto per le cose, per la materia prima, per l’uomo.

Messaggio finale per chi ha perso l’evento: dall’8 aprile prossimo una parte dell’allestimento arriverà a Milano per il Fuorisalone, negli spazi di 120% Lino in zona Brera, per arrivare poi, nel 2015, all’Expo di Milano.

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