La (le) versione del Momi

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Conosco Momi “Caena” da almeno 25 anni: alle fiere presentava i campionari. Sveglio, competente, battuta su misura per ogni tipo di cliente e di situazione, elegante nei modi e nella conversazione, con il sovrappiù della mitica catena d’argento che usciva dal taschino del gilet.

Abita a Valdagno, ha cominciato a 19 anni a lavorare in fabbrica, dopo essere stato cacciato dal seminario, per via di una fuga serale con un suo compagno: avevano sottratto l’Ape del giardiniere e avevano girato per la città indugiando ripetutamente lungo i viali proibiti: «Scortà fin al seminario dalla volante della polizia, gerimo solo du chierichi curiosi ostia!».

Incominciava la nuova vita: la mattina presto “missione valpadana” a visitare i clienti con la macchina carica di valigie.
La sosta Al Moraro da Guido, un’occhiata veloce al giornale locale sorseggiando il caffè, in piedi davanti al frigorifero dei gelati. Poi puntualmente chiudeva alla pagina dei morti con il solito saluto a Guido e la solita battuta: «Anca anco semo vivi e ne toca laorare», e poi giù cinque chilometri in colonna fino a quel maledetto semaforo a Cornedo che gli automobilisti della vallata chiavano “strupacuo”.

Sì in effetti era un tappo, una strettoia, un imbuto, «o come casso te voi chiamarlo” diceva il Momi, forse lasciato lì apposta per dissuadere la gente a cercare lavoro altrove. Secondo lui i Marzotto, che nella loro dinastia nel corso degli anni avevano avuto senatori e deputati, volutamente hanno lasciato che quella strettoia diventasse una sorta di ostacolo per chi tentasse di uscire dalla valle.
Teoria non del tutto bizzarra: in quegli anni in molti paesi del Veneto in via di sviluppo gli industriali locali ostacolavano i nuovi insediamenti industriali per non avere concorrenza nella ricerca di manodopera.

Momi, seduto alla sua scrivania mi racconta di questo abbraccio mortale tra Valdagno e la dinastia, che per carità ha dato, sì, ma ha anche molto preso.
Non parla a casaccio, tira fuori dal cassetto alcune pagine, uno studio di uno storico che traccia una storia dettagliata della dinastia e dei suoi incroci parental-azionari, partendo dai fondatori nel 1836 ed arrivando al centinaio di eredi attuali, con incroci azionari e matrimoni che ricordano un po’ Beautiful (cercando nelle foto di famiglia il Ridge con la mascella squadrata c’è, e anche la Sally Spectra).

Ho preso nota e ho letto poi con calma lo studio sulla storia della Marzotto. Dalle vicende di questa azienda/famiglia si capisce che si alternano periodi di vocazione industriale ad altri dove non si disdegnano gli aiuti dello stato per l’acquisto di fabbriche o partecipazioni statali ed interventi e sovvenzioni per investire al sud.
Poi guardando le cronache, calando la vocazione industriale, si arriva alla cessione dei vari marchi dell’azienda e allo sfruttamento del patrimonio immobiliare. Fino all’ultima prodezza: la realizzazione di una lottizzazione di cui sono proprietari alcuni membri della famiglia con 9 capannoni, i cui progetti—secondo le voci che girano in paese—hanno avuto una quantomeno dubbia solerzia nell’approvazione: dovevano infatti essere approvati in tempo per ottenere il massimo dei finanziamenti al solare.

Ecco, mi dice ancora Momi, una volta si correva per finire il capannone, per riempirlo di telai e adesso si finisce il capannone in qualche modo (gli abitanti della zona le chiamano le palafitte solari) per prendere “la manna dal cielo”. Anzi, più che “dal cielo” dagli italiani che pagano la bolletta della corrente più cara del mondo.
Pare inoltre che la società immobiliare abbia anche chiesto che quei capannoni diventassero commerciali, trascurando il fatto che dietro esiste un’industria chimica ad alto rischio. A questo punto, dicono negli ambienti sindacali, non poteva mancare il solito ricatto dell’occupazione: usare gli operai come comparse di una guerra tra poveri.

Lo interrompo e gli chiedo: «E adesso?»
Momi si accende il sigaro, guarda il soffitto del suo polveroso ufficio, butta il fumo verso il cartello (vietato fumare) e mi dice: «hai presente il film delle porte?» (si riferiva evidentemente a Sliding doors).
«Bene ci sono più finali: a) Andiamo avanti di questo passo e… metteremo il cartello “chiuso” al comparto del tessile, e a questo punto l’ultimo spenga la luce!»
Delle altre versioni, la b) e la c) ne parleremo la prossima settimana.

P.S
Per chi volesse approfondire innumerevoli sono i documenti presenti in rete, basta digitare Valdagno-Marzotto-Koris-Miteni.

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