Issues | In The Air

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Una premessa: qualcuno dovrebbe farlo anche qui in Italia un magazine del genere. Arrivo a dire che non sarebbe solo utile, interessante, ma addirittura indispensabile in un panorama editoriale come il nostro in cui centinaia di migliaia di enormi ego smaniano per avere il proprio nome sulla copertina di un libro che nessuno (o quasi) leggerà. La questione è delicata e mi pare già di vederle le code di paglia prender fuoco, le faccine offese, i “tra le righe” sui social.

Mi spiego meglio: In The Air è una rivista che ancora non esiste. L’ha ideata una giovane giornalista moscovita di base a Londra che ha già alle spalle una lunga gavetta e che può vantare interviste a personaggi del calibro di Jeff Bridges e Samuel L. Jackson, Arthur C. Clarke e Mel Brooks, David LaChapelle e Anton Corbijn. Insieme a lei in questo progetto c’è un’intera squadra di fotografi e illustratori mentre l’art direction è affidata a due graphic designer francesi che hanno già dimostrato quanto valgono realizzando il progetto grafico di una rivista-capolavoro come The Shelf Journal.

In The Air—se la campagna di raccolta fondi su Kickstarter andrà a buon fine—sarà un mensile interamente dedicato alle storie “orali”, quelle che racconti al bar, la sera, davanti a un boccale enorme. O che animano una cena tra amici. Sono quelle storie che ti definiscono come personaggio, i racconti assurdi che però ti sono capitati davvero, tipo quello della vecchia zia che a un certo punto si trasferisce a Roma spinta da suo figlio, quello stesso figlio che poi ti chiama per dirti che qualche settimana prima è morta e «quindi ciao, niente, era per fartelo sapere» e poi nessuno lo sente più e ti chiedi se ‘sta vecchia zia sia davvero morta. E se sì, dov’è che l’hanno sepolta?

Oppure gli incontri con “uomini straordinari”, come quella volta che appena uscito da un bar di Milano ti ferma un fioraio abusivo per chiederti una sigaretta e poi gentilmente ti chiede se puoi dargli un consiglio e tu dici sì e a quel punto entri in una valle di lacrime, con lui che è stato lasciato da una fantomatica cantante che gliel’ha fatto sapere tramite il suo agente e il fioraio non sa che fare e intuisci dal suo sguardo che quello è un potenziale stalker di cui un giorno leggerai in cronaca nera, gli manca solo l’innesco, e non vorresti mai essere tu a darglielo e allora cerchi pian piano di ricondurlo verso la retta via di fioraisimo abusivo spiegandogli che una come lei, la cantante con l’agente, è meglio perderla che trovarla, che non se lo merita di certo un bravo ragazzo come lui, che là fuori ce ne sono tante che sanno davvero cos’è l’amore eccetera eccetera.

Ecco il tipo di storie che usciranno su In The Air. E sono le stesse che poi finiscono su uno stato di Facebook e se hai un minimo di verve letteraria i “mi piace” te li tirano dietro.
E qua torniamo al ruolo oserei dire sociale di una rivista come In The Air: filtrare il guano in cui—editorialmente parlando—siamo immersi. Un mare di guano in cui ciascuno s’illude di avere i numeri e le capacità per poter arrivare in libreria. Illusione alimentata da quelle “case editrici” che se paghi ti pubblicano davvero (e vorrei vedere…) e ora anche da un fenomeno come il self-publishing, che se da una parte supporto e ritengo utilissimo dall’altra non possono non considerare come uno dei più grandi immissari del suddetto mare di guano editoriale.

La vorrei anche in Italia una rivista come In The Air perché sarei il primo a spedire le mie storie, tipo quella della zia sepolta chissà dove o quella del fioraio. E sarei felice così, e non ascolterei le dannose sirene del «perché non pubblichi? perché non le mandi a una casa editrice? perché non scrivi un romanzo?» degli amici (che in quanto amici fanno gli amici, gli stessi che se e quando pubblicherai un libro che nessuno leggerà, loro lo faranno per senso del dovere, qualcuno te lo recensirà pure sul suo blog o sulla sua rivista, qualcun altro verrà pure alle presentazioni, insieme a due o tre curiosi e alla massa di chi partecipa come merce di scambio) ma tu, dentro, saprai di essere solo un altro pezzettino di merda col nome sulla copertina di un libro.

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