Zapatero, il baccalà e la macroeconomia

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Siamo in ritardo, la lezione di economia è già iniziata, io e la persona che è con me ci accomodiamo in silenzio cercando di non disturbare: gli imprenditori del nordest hanno dedicato poco tempo alla formazione, cerchiamo nel limite del possibile di recuperare.
La lezione di oggi traccia una panoramica sullo stato attuale delle economie mondiali: la fragilità dell’Europa, la timida ripresa dell’economia americana, il fuoco di paglia del boom brasiliano, i timidi segnali di ripresa che arrivano dall’Africa e infine la probabile saturazione entro tre anni del mercato cinese. La lezione è interessante e non si sente volare una mosca, anche perché è dicembre. Gli occhi dei presenti seguono l’ampio gesticolare del relatore.

A un certo punto la lezione viene interrotta perché arriva il baccalà. Lo schema di geopolitica mondiale, che in mancanza di slide e lavagne elettroniche è stato realizzato sulla tovaglia a quadretti con il cestino del pane, la saliera, la bottiglia dell’olio e dell’aceto, viene stravolto dai piatti fumanti. Peggio della crisi del 2008!
Penso di avervi un po’ disorientati, se avete pazienza vi spiego.

Il venerdì sono solito fermarmi a pranzo alla trattoria dale tre sorele vicino a Padova: con 12 euro baccalà con polenta vino e caffè.
La gente che troviamo è più o meno sempre la stessa, il più esuberante è Piero, 55 anni: 95 kg di buon senso, battuta pronta, conoscenza del mondo, quello vero, per averlo calpestato in lungo ed in largo per venti anni. Avete presente i manager fighetti che sculettano dietro a Briatore? Bene lui è l’opposto. Se va lui in televisione li mena tutti.
A volte a tavola al telefono risponde in francese in inglese e in russo ai suoi rivenditori di macchine agricole sparsi per il mondo. Di solito chi telefona a tavola dà fastidio, lui però si scusa bonariamente e dice a tutti: «Scuse tosi l’è el fuso orario che me ciava: son sempre reperibile». Tra una conversazione e l’altra infila informazioni sulla vita privata della madonna, in dialetto veneto, non proprio edificanti (escludo che si riferisca alla Sig.ra Ciccone).

Questo è il nordest, ferito ma non ancora sconfitto, ancora frizzante, anche se come dice qualche giornalista: «Nei cuori e nelle teste della gente è passato il principio che l’Europa abbia perso la terza guerra mondiale contro la Cina. Dovevamo essere noi a esportare i diritti civili e sindacali in Oriente. Invece sono stati i cinesi a esportare qui il loro modo di intendere il lavoro».
E qui scusate se insisto ancora, mi riferisco alla “sindacalista sentenziosa”: per andare da Bassano a Padova è passata alcuni mesi fa davanti alla trattoria, se si fermava a mangiare con Piero forse liquidava in maniera meno sbrigativa e superficiale “l’imprenditoria inadeguata del nordest ripiegata su se stessa”. Noi del nordest non godiamo di una buona immagine, siamo passati dai film di Vittorio De Sica con le servette sempliciotte ai forconi intervistati da “San Toro” (mi viene da scrivere il suo nome così per il modo in cui infierisce con chi è culturalmente più indifeso).

C‘è anche dell’altro in giro però.
Nel raggio di 15 km da quella trattoria vengono prodotte tre quarti delle macchine da gelato esportate in tutto il mondo, in provincia di Verona vengono prodotti la maggior parte dei forni da pane del mondo. Centinaia di aziende come quella di Piero nel nordest esportano in tutto il mondo, nonostante la crisi, le banche e una classe politica avulsa, pigra, autoreferenziale, che produce solo norme astruse e chiacchere in abbondanza. Piero è un po’ sopra le righe e colorito, però sta portando la sua azienda fuori dalla crisi senza licenziare. Produce macchine agricole esportandole in tutto il mondo: da operaio a imprenditore, le lingue imparate la sera.

Mi ha detto l’ultima volta che l’ho visto prima di Natale, prendendo il caffè: «altri sei mesi teribbbili [lui l’ha pronunciato proprio così] dopo se fa pulizia se sposta le macerie del dopoguerra e se riparte». Guardandomi negli occhi e sorridendo per sdrammatizzare ha aggiunto, indicando la persona che era con me: «mi, ti e lù, però se la cavemo!»
Le sue parole mi hanno dato coraggio, molto di più di una relazione soporifera del ministro Saccomanni: frequentando da tempo quel posto so che Piero le previsioni economiche le indovina, più di Mario Monti, che sulle previsioni dell’ultimo anno è stato battuto anche dal mago Otelma.

Tornando alla nostra trattoria, alla cassa siede imperturbabile Marietto. Dal suo osservatorio privilegiato osserva le due salette: ne ha per tutti, la sua specialità è affibbiare soprannomi: per lui Piero è diventato Zapatero, sintesi indovinata tra nome e lavoro svolto.
Nella sala grande di solito ci sono due tavolate: sono i dipendenti con il buono pasto di una gigantesca municipalizzata che copre metà Veneto: acqua-luce-gas-ambiente. Bella immagine nei cartelli stradali: il solito bambino, tipo kinder, con le braccia alzate verso il cielo azzurro. I bilanci della municipalizzata un po’ meno belli e radiosi! Speriamo che non prendano in gestione anche l’aria perché siamo rovinati. D’altra parte anche i pubblicitari fanno il loro mestiere. Cosa volete che mettano, nei manifesti, un pensionato che inveisce al cielo con le bollette in mano?

I miracolati della municipalizzata, tutti con l’auto aziendale, si dividono di solito in due tavolate, da una parte a capotavola il sindacalista CISL vegetariano soprannominato radecela (in veneto piccolo radicchio), sull’altro tavolo il robusto sindacalista CGIL, che per il solo torto di spazzolarsi le polpettine al banco con l’aperitivo, nonostante il fare bonario, è soprannominato pol-pot. I soprannomi azzeccati seguono le persone per tutta la vita come il codice fiscale.

La trattoria è un po’ lo specchio dell’Italia: ci sono due mondi, quello degli ipergarantiti e quello di chi ogni giorno se ne deve inventare una per sopravvivere. Due mondi che camminano di fianco ma pare che non si vedano. Credo che questa crisi sia dovuta anche ai limiti, peraltro veri, di molti imprenditori, però negli uffici pubblici, con i quali hanno a che fare i cittadini come me e come Zapatero, siamo sicuri di trovare la preparazione, la disponibilità e l’aiuto che serve all’Italia in questo dopoguerra?
Si trova invece troppo spesso l’esercito imbattibile dei diritti acquisiti. Tanto per fare un esempio il sito della Camera di Commercio di Verona è stato per lunghissimi periodi irraggiungibile, con il simbolo dell’ometto con il badile e la scritta “lavori in corso”. Per fortuna Piero e gli altri nel frattempo si sono arrangiati a trovare le loro strade per l’export. Per quanto riguarda quelli pagati inutilmente per aiutarci ad esportare, riconosco che l’idea del badile, per il loro futuro, non è cattiva.

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