Medulla, per fare serigrafia bio ci vuole pazienza

Qualche giorno fa, stanco di starmene chiuso in casa per uno di quei raffreddori che ti rendono un essere sputazzante incapace di dire persino la stessa parola raffreddore— sì che nel momento in cui ti scusi per come parli (“scusa, ho il daffeddove”) gli altri pian piano si allontanano, ritirano la mano che stavano per stringerti, trovano qualche scusa per andarsene—ho deciso di fare un giro al Fruit, qui a Bologna, ripromettendomi di lasciare a casa macchina fotografica, blocco e registratore e vivermi una piccola overdose di fanzine “in borghese”, cogliendo l’occasione per accompagnare un amico e appassionato di arte ed editoria come Saul Marcadent. Ovviamente gli strumenti del mestiere non sono proprio riuscito a non portarmeli dietro. E una volta lì, non ho resistito. Come fai a far finta di niente quanto ti trovi di fronte a stampe e libretti serigrafati e scopri poi che non sono stati realizzati con inchiostri “normali”, bensì utilizzando colori biologici.
L’idea è di Davide Montorsi, un giovane modenese dall’aria tranquilla ma con gli occhi che brillano di passione quando inizia a parlare del suo lavoro, che si basa sì sull’uso di pigmenti naturali ma del quale l’ingrediente principale è un’assoluta, quasi ascetica, pazienza. Il suo marchio si chiama Medulla (ha anche un piccolo negozio online) e di cosa si tratta me lo faccio raccontare direttamente da Davide.

Come mai il nome Medulla?

Medulla perché in latino ha due significati. Uno è midollo ed è perfetto perché molti dei pigmenti vengono proprio dal midollo delle piante e dei fiori.
Il secondo significato è essenza, dunque l’anima delle cose.

Quando è nato il progetto?

Ci sperimento da un paio d’anni però ufficialmente Medulla è nata lo scorso aprile, dunque pochi mesi fa. Prima stampavo solo per alcuni privati poi ho “aperto al pubblico”, diciamo così, quest’anno.

Lavoravi già con la serigrafia?

Sì, principalmente su tessuto. Ho iniziato a fare serigrafia quasi per caso. Sono due strade che si sono unite: quella dell’arte—ho fatto la scuola d’arte a Modena ed il Dams a Bologna—e quella della passione per le t-shirt. A Modena c’era un negozio di abiti usati che si chiamava Seta Cotta ed io tutti i fine settimana andavo lì a cercare capi con le grafiche interessanti. Dopo un po’ ho deciso di iniziare a farmele da solo le magliette e allora ho imparato a serigrafare. Ma usavo colori normali. Poi mi sono stancato di respirare gli odori di lacche ed ho deciso per la svolta biologica.

Come ci sei arrivato agli ingredienti?

È stato un processo lunghissimo, non tanto per creare il colore, ma proprio perché stampando anche su tessuto ci sono volute tantissime prove e tantissimo lavoro per arrivare al punto di ottenere una buona stampa e soprattutto per poter lavare il capo senza rovinare il colore.
Nei pigmenti che uso io non ci sono “aggrappanti” chimici dunque è molto più complicato riuscire a dare tenuta. Serve molta pazienza: ho impiegato più di un anno prima di trovare il metodo.

Che ingredienti usi per fabbricare i colori?

Come polveri utilizzo estratto di clorofilla, indaco, curcuma, robbia e legno di campeggio. Poi si sperimenta. Puoi usare il vino, il caffè, l’aceto… Ho fatto delle prove anche con la birra e viene fuori un lavoro molto molto delicato.

E come sei arrivato a scegliere questi piuttosto che altri?

Provando. Però ad esempio i colori che uso per stampare su carta non è detto che vadano bene pure per il tessuto. Se stampassi su t-shirt con il colore a base di curcuma basterebbe un lavaggio per cancellare tutto. Invece ci sono colori che miscelati assieme tengono molto di più.

In fin dei conti hai un approccio quasi “alchimistico”. Lo studio delle materie prime e prove su prove.

Ogni elemento naturale si comporta in maniera diversa. Non sempre—anzi, quasi mai—ti vengono la pasta e il colore che vuoi. Devi aggiungere, togliere, cambiare i tempi di bollitura…

Hai delle competenze di chimica e biologia?

Le ho studiate alle superiori, come tutti. Però ho contattato, o per meglio dire “tartassato” un esperto di colori dell’Icea [Istituto per la Certificazione Etica ed Ambientale, ndr] che si occupa soprattutto di tintoria naturale. Sono due processi diversi. L’uno a caldo e l’altro, la serigrafia, a freddo. Però è grazie a questo esperto, che mi ha dato diversi ottimi suggerimenti, che sono riuscito a fare serigrafia organica.

Prima mi raccontavi di come l’ingrediente principale di tutto il lavoro fosse la pazienza.

Ti faccio un esempio pratico. Prendi un colore come la clorofilla: ho provato ad usarlo per stampare su t-shirt. L’ho lavata dopo una settimana e il colore è scomparso. Allora ho ritentato. L’ho stampata di nuovo ed ho aspettato due settimane. Niente. Tre settimane. Niente. Un mese. Ma il colore andava sempre via. Non ho perso le speranze e ho continuato a provare. Ora so che se stampo con la clorofilla devo tenere lì ferma la maglietta per 6 settimane e non la devo toccare.

Per quanto riguarda stampe e libretti?

Le stampe sono tutte di illustratori di Modena: Francesco Bevini, Luca Zamoc, Marino Neri e Luca Lattuga. Li ho contattati per l’inaugurazione ed ho chiesto loro di darmi quattro grafiche.
I libretti sono di Marino e neri e Cinzia Ascari. Li ho realizzati in 30 copie ciascuno e li ho fatti rilegare a mano da La bottega dei Gozzi, storico laboratorio modenese. Un lavoro semplice ma fatto bene. Come piace a me.

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