Un blocco note apparentemente normalissimo ma che in realtà, grazie a tutta una serie di (più o meno) piccoli accorgimenti, promette di diventare il blocco note, pensato per chi—dal designer all’architetto, dall’illustratore al grafico, dal regista al coreografo, dal poeta al romanziere, dallo studente all’ingegnere e all’inventore—pratica la complessa e personalissima arte del prendere appunti, arte che di solito raggiunge un livello accettabile solo dopo anni di pratica (non si hanno notizie di ereditarietà genetica—tutto suo padre quando prende appunti, nè?—né di folgorazioni improvvise sulla via di Damasco) e si affina a suon di chilometri di matite consumati, disegni osceni a margine dei libri di scuola, grovigli di frecce che non portano in alcun dove, esperimenti falliti di calligrafia da medico generico, sbirciatine sul quaderno del compagno di banco (gli appunto del vicino sono sempre più… verdi? Comunque più precisi).
Quali sono, dunque, questi accorgimenti?
Innanzitutto la rilegatura, che permette al libretto di starsene bello piatto sulla scrivania, senza dover sprecare millimetri preziosi e senza esser costretti a tenere con la mano la facciata opposta a quella dove stai scrivendo, pena la sportellata improvvisa e lo stop dell’attività appuntiera, con tanto di penoso scarabocchio che con lo stile essenziale dei segni cinetici dei fumetti sembra alludere alla caduta nell’abisso.
Secondo accorgimento: il formato.
Dopo anni di appunti sulle agendine della concorrenza i tre giovani designer newyorkesi che stanno dietro al progetto— Joey Cofone, Adam Kornfield e Scott Robertson—hanno scoperto che una pagina più bassa ma più larga funziona meglio. Snello farà rima con bello, ma non con utile. Almeno per i notebook.
Terzo: la carta.
Di alta qualità. Su tutte e 192 le pagine, disponibili sia bianche che a righe che a puntini (i quadretti non vanno più, non te l’hanno detto?).
C’è pure un terzo accorgimento e cioè che il tutto è fatto con amore, ma questo interessa solo a teneroni quindi, cari ingegneri ed architetti, fermatevi pure al punto tre.
Perché si chiama Baron Fig?
La genesi del nome è piuttosto arzigogolata e vale la pena essere raccontata: convinti che la creatività sia frutto di un perfetto equilibrio tra disciplina e impulso, Mr. Cofone, Mr. Kornfield e Mr. Roberson, i papà di Baron Fig, hanno deciso di prendere Apollo a simboleggiare la disciplina e Dioniso l’impulso. Apollo viene spesso rappresentato come un guerriero e—lungi da me l’aver capito il perché—da lì sono arrivati a Baron. E il fico? In questo caso il collegamento è più semplice: era una delle piante sacre a quel vizioso di Dioniso.
Mi chiedo solo quante pagine di blocco abbiano usato per sviluppare tal ragionamento…