#Fotosociality | Olivia Alice

Olivia Alice Clemence realizza profumi ma non è quel che si dice “un naso”. Non la troverai negli uffici delle blasonate maisons di moda a discutere con gli stilisti per cercare di realizzare in forma di odore le loro idee. Né in qualche laboratorio chimico ad estrarre essenze da fiori, erbe, semi e legni o a combinarne di artificiali.

Olivia Alice è, invece, un ibrido tra un’artigiana, una designer ed un’artista. Originaria del Galles, di base a Londra—”Big Smoke”, come la chiama lei—Olivia ha iniziato la sua carriera nel mondo degli odori disegnando e realizzando un apparecchio artigianale per estrarre fragranze dalle cose, impiegandolo in un progetto ad alto contenuto emozionale, riuscendo a sintetizzare in forma di odore, colore e dna un vecchio maglione appartenuto a sua nonna e di fatto creando un sistema per innescare memorie e nostalgie (grazie proprio a quel magnifico ed insuperabile “interruttore” del ricordo che è il senso dell’olfatto) a prescindere dalla possibilità di avere o meno a disposizione l’oggetto-scatena-ricordi.

Lo stesso sistema di ampolle ed alambicchi per l’estrazione delle fragranze—dall’estetica grezza e assai lontana da quelli dei neutri e immacolati laboratori chimici che l’immaginario da rivista patinata ha instillato nelle nostre teste, quando si parla di profumi—ha poi dato il via a tutta una serie di lavori dal respiro concettuale, come un workshop nato con l’intento di riuscire a imbottigliare l’odore di una zona di Londra (South Bank), o gli odori di un vecchio pub vittoriano ricostruito ad hoc, o ancora profumi e puzze del mercatino di Portobello Road per un junk shop di Tom Dixon.

Pian piano lo “scaffale” di essenze di Olivia si è riempito di odori ad alto potenziale evocativo, che la designer ha presentato anche a Milano durante il Fuorisalone.
Io, reduce da una prima immersione nella sempre troppo affollata via Tortona, il naso confuso da troppe informazioni—l’odore di fritto, di cipolla e di grasso di salsiccia delle bancarelle per strada, le schizofreniche note di profumo dei passanti, l’essenza di sotterraneo della metro, fumo di sigaretta, smog—l’ho incontrata negli spazi delle Officine Creative Ansaldo e mi sono precipitato da lei per una piccola ma intensa sessione di riequilibrio karmico, il naso sopra a minimali bottigliette con l’etichetta bianca per un viaggio che, dagli aromi più essenziali a quelli più complessi, mi ha fatto precipitare in una serie di rassicuranti flashback, dando finalmente senso all’espressione vedersi passare tutta la vita davanti, dalla carta all’odore del Tamigi, dall’erba al profumo di albero di Natale, dal basilico al fumo, passando per il gin ed i panini di Subway (come tornare a Londra, con lo spirito e oltre, per qualche secondo).

Davanti di un caffè, o meglio davanti all’illusione del medesimo, racchiusa nell’ampolla (alla domanda «qual è la tua essenza preferita?» Olivia mi risponde che dipende dal momento; in quel preciso istante era proprio il caffè ciò di cui aveva bisogno), ringrazio e saluto, andandomene da quell’isola di stimoli controllati per tornarmene nel mondo vero, dove dietro ad ogni angolo c’è un odore capace di sorprenderti, metterti in allarme o mandarti in confusione ma pure, di tanto in tanto, farti sentire a casa.

Questo post fa parte di Fotosociality, progetto lanciato da Samsung per promuovere la sua fotocamera “social” Galaxy Camera, con la quale sono state scattate tutte le foto dell’articolo.

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