#Fotosociality | Flowerssori

«Nel principio montessoriano gli oggetti educano. Quindi non hanno un termine stabilito—6 mesi, un anno, due anni—ma il bambino deve avere la possibilità di portarsi dietro, con la sua storia, questi mobili».
Esordisce così—partendo da lontano, dalla Grande Ispiratrice
Maria MontessoriHans Kruger Goffi, architetto e fondatore, con la sua compagna di vita e di lavoro Angelica Meucci, di Flowerssori, azienda che produce mobili a misura di bambino, pensati per i privati ma soprattutto per scuole ed ospedali, ispirati ai dettami di colei che rivoluzionò la pedagogia del ’900, la Montessori appunto, nata a due passi da casa mia e di Hans che, scopro dalla cadenza inconfondibilmente familiare, è un chiaravallese che nonostante una vita in pellegrinaggio costante tra le Marche, la Toscana, l’Africa e l’America, ha mantenuto la cadenza.
«Quella non la perdi mai. Soprattutto noi marchigiani». Confermo. E mi accorgo, al momento di sbobinare l’intervista, che entrambi l’abbiamo portata avanti in dialetto. Io a chiedere, lui a rispondere. Immersi entrambi, per qualche minuto, in un’inaspettata aria di casa. Fuori, una splendida giornata milanese e l’atmosfera rilassata della Cascina Cuccagna, durante il Fuorisalone.

Com’è nata Flowerssori, Hans?

L’azienda c’è da appena un anno. Prima abbiamo passato tre anni con i bambini in Canada, a Toronto, in un’istituto montessoriano. Lì, osservando le loro interazioni con gli oggetti e l’arredamento, abbiamo avuto l’idea della nostra linea di mobili.
Io ci sono cresciuto col metodo montessoriano!

Come mai siete finiti in Canada?

Io ed Angelica, entrambi architetti, abbiamo lavorato insieme in uno studio di Pisa e, sempre insieme—con un certo sentimento di sfiducia verso il Sistema italiano—abbiamo deciso di prenderci una pausa ed abbiamo viaggiato un po’. In Canada ci siamo finiti proprio per studiare il metodo di una delle poche scuole che ancora applica il modello montessoriano delle origini.
Poi, presi dalla nostalgia e dall’orgoglio dopo aver visitato l’Art Gallery of Ontario, recentemente ristrutturata dal grande Frank Gehry, dove l’area più bella era quella dedicata proprio all’Italia, abbiamo deciso di tornare a casa. Qui abbiamo contattato due grandi aziende italiane, che hanno creduto nel nostro progetto ed hanno prodotto i nostri mobili.
Ora siamo tornati di nuovo a Pisa, ovviamente con un collegamento privilegiato con Chiaravalle, città natale della grande Maria Montessori, che è anche la mia città di origine.

Come mai il nome Flowerssori?

Il nome deriva dall’unione tra Montessori e flower: la nostra sedia sedia riprende la linea del petalo.

Un “petalo” di legno.

È frassino di prima scelta. I tronchi vengono derullati da un’azienda del Centro Italia, viene data una verniciatura anti-batterica ed anti-macchia e tutto è realizzato in modo tale che gli spigoli vengano segnalati dalla luce, senza bisogno di vernici colorate o simili. Il sotto dei prodotti è leggermente più scuro del sopra, così che anche il bambino più piccolo capisca la differenza. I bambini il design lo vivono a 360°. Vanno sotto, sopra… E nei nostri mobili non c’è una sola vite o un solo pezzo di plastica o di metallo.
Ogni prodotto è certificato, oltre che marchiato e numerato così che per ogni singolo prodotto sia possibile risalire a luogo e data di produzione.
I prezzi sono assolutamente concorrenziali. Stiamo iniziando a ricevere un buon numero di ordini, da tutto il mondo e soprattutto grazie al passaparola.

Le sedie sono di due misure differenti?

Sì ma l’età del bambino non c’entra. L’importante è l’altezza poplitea, cioè quella che va dal piede al ginocchio. E quando non si usano le sedie possono essere impilate a formare una parete o un separè.

Si avvicina una bambina che—immagino—dopo essersi sorbita chissà quanto “design che piace ai grandi” non le starà sembrando vero vedere uno spazio su misura per lei. Si sdraia sul lettino. Sposta una sedia, strisciandola a terra, e si siede al tavolo. Poi si rialza e risistema la sedia al suo posto ma facendo molta più attenzione.
Hans, che nel frattempo ha osservato attento tutta la scena mi dice:

Hai visto? Quando l’ha trascinata la prima volta la sedia ha fatto rumore quindi la bambina ha elaborato l’informazione e al momento di rimetterla a posto l’ha sollevata e sistemata con più delicatezza, perché sa benissimo che il rumore dà fastidio. In questo semplice gesto c’è tutta la questione dell’autoregolazione degli errori. È il metodo Montessori classico.
Metti ad esempio il lettino…

È senza sbarre.

Così il bambino può auto-regolarsi nei movimenti e soprattutto salire e scendere da solo. I bambini devono sempre essere liberi di muoversi e devono imparare dagli errori. La prima volta che cade—senza farsi male perché l’altezza è studiata apposta—capisce che l’oggetto ha un limite e si confina all’interno del letto. Già a un anno quindi possono fare come gli adulti.
Dal lettino poi si passa al modello più grande, fatto a moduli, anche questo senza sbarre e molto largo, quindi molto protettivo. Man mano che il bambino cresce si aggiunge un modulo. Lo si fa attraverso dei piccoli giunti di ancoraggio in cuoio—scarto della lavorazione delle cinture—dentro ai quali si infilano dei cilindri in legno, con cui è praticamente impossibile farsi male o incastrarsi le dita.

Immagino che per il bambino, modificare il proprio letto magari insieme ai genitori, o anche da solo, diventi innanzitutto un gioco.

Hai toccato un punto fondamentale. Guarda lo schienale.
[sfila la testiera del letto dal suo modulo e la infila nel modulo in fondo, trasformandolo di fatto in una sorta di divanetto, ndr]. Quindi ad esempio finché il bambino è più piccolo si può utilizzare uno dei moduli come seduta oppure costruire il letto già lungo e mettere in fondo il mini-divano…

Vedo anche una libreria.

Sì, le costruiamo con una sorta di onda che idealmente serve a dividere gli oggetti sporchi da quelli puliti. I cassetti si possono estrarre da ambo i lati, sono senza guide e non si tolgono, così che non possano cadere.

Ho una figlia di quattro anni. Il metodo Montessori, per prossimità geografica, per la passione di mio zio in materia e per il fatto che la scuola materna che frequentavo da bambino, pur non essendo strettamente montessoriana, ne praticava in parte gli insegnamenti, a grandi linee lo conosco. Eppure mi sorprendo sempre quando mi rendo conto che spirito di osservazione e semplice buon senso, da parte dei grandi, potrebbero già risolvere tanti problemi. Ma siamo ancora lontani anni luce, in Italia più che altrove, dall’adottare in maniera diffusa e sistematica un metodo didattico considerato tra i migliori al mondo. Abbiamo sbattuto la Montessori sulle 1000 lire e lì l’abbiamo lasciata.

Che poi sulle 1000 lire la scambiavano tutti per la Montalcini [ride, ndr]

Questo post fa parte di Fotosociality, progetto lanciato da Samsung per promuovere la sua fotocamera “social” Galaxy Camera, con la quale sono state scattate tutte le foto dell’articolo.

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